il labbro acetabolare dell’anca

fonte: Ortopedia Borgotaro

Il labbro acetabolare è un anello fatto di fibro-cartilagine (un tessuto simile a quello del menisco del ginocchio) intorno alla coppa dell’anca (acetabolo), quella tasca nella quale si inserisce la testa del femore. Questa struttura è molto importante per la normale funzione dell’articolazione dell’anca. Essa aiuta a mantenere la testa del femore (l’osso della coscia) all’interno dell’acetabolo la coppa del bacino (dove la testa del femore si inserisce e si muove). Il labbro acetabolare funziona come una guarnizione fornendo stabilità all’articolazione dell’anca.

Il labbro acetabolare ha due lati: un lato è a contatto con la testa del femore, l’altro lato tocca e prende connessioni con la capsula articolare. La capsula è costituita da forti legamenti che circondano l’anca e aiutano a tenerla in posizione pur consentendole di muoversi in molte direzioni. Il lato extra-articolare del labbro (quello a contatto con la capsula articolare) ha un buon apporto di sangue, ma la zona intra-articolare (a contatto con la testa del femore) è in gran parte avascolare (senza sangue). Questo significa che qualsiasi danno al lato extra-articolare ha più probabilità di guarire mentre il lato intra-articolare (con un molto scarso apporto di sangue) non guarisce bene a seguito di lesioni o di riparazioni chirurgiche.

Il labbro aiuta a sigillare l’articolazione dell’anca, mantenendo così la pressione del fluido all’interno dell’articolazione e fornendo la nutrizione alla cartilagine articolare. Senza un sigillo intatto, aumenta il rischio di artrosi degenerativa precoce. Un labbro danneggiato può anche provocare uno spostamento del centro di rotazione dell’anca. Un cambiamento di questo tipo aumenta l’impatto e il carico sull’articolazione. Senza la protezione di questa guarnizione o con una testa femorale fuori centro, il movimento ripetitivo dell’anca può creare piccole lesioni al labbro e alla articolazione dell’anca. Nel corso del tempo, queste piccole lesioni possono portare ad usura dell’articolazione dell’anca (artrosi).

Un tempo si credeva che un singolo trauma (come ad esempio durante una corsa, lo sport, una torsione, una caduta) era la ragione principale di una lesione del labbro acetabolare. Nel tempo, con migliori studi di imaging e con la comprensione derivata dall’artroscopia, è emerso che la forma anomala dell’acetabolo e/o della testa del femore (il Conflitto Femoro-Acetabolare) erano una delle cause più frequenti del problema. Sebbene l’infortunio rimanga una delle principali cause di lesioni labrali, quasi sempre una lesione del labbro acetabolare avviene quando esistono delle cause predisponenti. I cambiamenti anatomici che contribuiscono alle lesioni labrali combinati con piccole lesioni ripetitive portano ad una graduale insorgenza del problema. Attività sportive che richiedono movimenti oscillanti ripetitivi (come ad esempio il gioco del golf) o la ripetuta flessione dell’anca possono provocare questo tipo di piccole lesioni.

La lesione più comune è chiamata Conflitto Femorale Acetabolare (o FAI – Femoro Acetabular Impingement): quando una gamba flette e ruota internamente e si muove verso il corpo, l’osso del collo femorale (soprattutto se strutturato in modo anomalo) urta contro il bordo acetabolare pizzicando il labbro tra il collo femorale stesso ed il bordo acetabolare. Nel tempo, questo pizzicare del labbro provoca usura e lacerazione dei suoi bordi. Una rottura completa viene indicata come avulsione in cui il labbro è separato dal bordo dell’acetabolo dove si attacca normalmente. Cambiamenti nel normale movimento dell’anca combinati con debolezza muscolare attorno all’anca possono portare alle lesioni del labbro acetabolare. Altre cause includono lassità capsulare (legamenti lassi), displasia dell’anca (alterazioni anatomiche dalla nascita), lesioni da trazione e alterazioni degenerative (artrosi) associati con l’invecchiamento. Chiunque abbia avuto una malattia dell’anca dell’infanzia (quali la malattia di Legg-Calvè-Perthes, la displasia dell’anca, l’epifisiolisi) ha un rischio aumentato di lesioni labrali.

Il principale sintomo dovuto ad una lesione del labbro acetabolare è dolore nella parte anteriore dell’anca (più spesso nella zona inguinale), accompagnato da una sensazione tipo clic, o da una specie di blocco dell’anca. Sintomi comuni sono anche rigidità articolare e una sensazione di instabilità in cui l’anca e la gamba sembrano cedere. Il dolore può irradiare lungo i glutei, lungo il lato esterno dell’anca, o anche fino al ginocchio. I sintomi peggiorano con lunghe camminate, o quando si sta seduti. Facendo perno sull’anca malata si può avvertire dolore. Alcuni pazienti zoppicano o hanno un segno di Trendelenburg positivo (l’anca scende sul lato destro se si sta in piedi solo sulla gamba sinistra e viceversa). Il dolore può essere costante e sufficiente a limitare tutte le attività ricreative e sportive.

La storia e l’esame fisico sono i primi strumenti che il medico usa per diagnosticare una lesione del labbro acetabolare dell’anca. Una storia di trauma nota legata al dolore all’anca può esserci come no. Quando ci sono cause anatomiche e strutturali o squilibri muscolari che contribuiscono allo sviluppo delle lesioni labrali, i sintomi possono svilupparsi gradualmente nel tempo. Il medico eseguirà alcuni test; quello più comune è il segno dell’impingement, che viene effettuato piegando l’anca a 90 gradi (flessione), ruotando l’anca verso l’interno (rotazione interna) e portando la coscia verso l’altra anca (adduzione). Fare la diagnosi non è sempre facile ed il medico deve poter contare su ulteriori test per individuare la causa esatta del dolore (raggi X, Artro risonanza magnetica nucleare). A seconda dei casi, il trattamento può essere conservativo (fisioterapia) oppure chirurgico (artroscopia).

AcuSurgical – ready, set, go!

credits: AcuSurgical official website

AcuSurgical, a startup developing a robotic assistant for vitreo-retinal surgery, announces a Series A funding of around 6€ million euros. The round was led by institutional investors Merieux Partners and Supernova Invest, with participations from IRDI-Soridec and Sofimac Innovation. The round aims to finance upcoming clinical trials and CE mark certification.

AcuSurgical designs and builds a robotic surgical assistant dedicated to the treatment of retinal diseases such as age-related macular degeneration (AMD) affecting over 300 million patients worldwide including one in three Europeans aged over 70. AcuSurgical’s mission is to improve the precision and safety of current retinal procedures, augmenting the surgeons abilities and thus enabling new retinal surgeries. The aim is to treat the significative percentage of patients who today suffer from limited treatment options.

The innovative and unique robot was designed in collaboration with the LIRMM robotics laboratory, a joint research unit of the University of Montpellier and the CNRS (France) and vitreo-retinal surgeons at the Jean Monnet University in Saint-Etienne (France). The company recently signed a partnership with the Adolphe de Rothschild Foundation based in Paris.

“Our ambition is to enable innovative treatments for retinal disease that will open new perspectives for the numerous patients who today are impacted by these debilitating retinal conditions and who currently have limited options for treatment. We’re proud of the confidence afforded to us by this strong group of investors. Their support will allow us to grow the team and reach key milestones towards certification and commercialisation of our innovative surgical robotics platform” says Christoph Spuhler, CEO and co-founder of AcuSurgical.


AcuSurgical was co-founded in 2020 by Christoph Spuhler, robotics professors Philippe Poignet and Yassine Haddab and vitreo-retinal surgeons and professors Philippe Gain and Gilles Thuret. The team is comprised of experts with significant previous experience in surgical robotics and ophthalmic medical devices. The company grew out of a collaboration between the co-founders and the LIRMM robotics laboratory accompanied by seed funding from the AxLR incubator. SATT AxLR specializes in the maturation and commercialization of innovative projects resulting from academic research. The company has been incubated at the BIC since 2018, and has received i-site MUSE support.

FEA – analisi a elementi finiti: cenni

full credits: Manuale dello Stampaggio Progettato

FEA (Finite Element Analysis), trattasi di una metodologia di calcolo basata su approcci analitici possibili solo con le elevate capacità di calcolo fornite dai computer.
Viene identificata anche come FEM (Finite Element Modelling) o, erroneamente, FMEA (Failure Mode and Effects Analysis) – quest’ultima trattasi di una metodologia sistematica per analizzare prodotti e processi sulla base dello studio dei componenti e delle loro specifiche funzioni, allo scopo di anticipare i possibili problemi (o guasti) e trovarne i rimedi. In realtà le FEA costituiscono spesso un tassello fondamentale per soddisfare le esigenze della metodologia FMEA.
Le metodologie FEA, sviluppate inizialmente per le analisi strutturali (stress analysis) ad un livello accademico o per strutture di grandissimo impegno ingegneristico, si sono evolute, contemporaneamente alla riduzione dei costi dei computer, ad un uso più “quotidiano” e, grazie ad opportune varianti, allo studio dei vari aspetti del comportamento di modelli in varie situazioni quali per esempio la simulazione dei processi di trasformazione.
Fondamentalmente queste analisi permettono di determinare la ripartizione delle sollecitazioni in pezzi con forme per le quali non esiste una soluzione matematica completa (equazioni finite) e che, quindi, richiedevano l’impiego di analisi sperimentali. La loro origine è nell’ingegneria civile e, di fatto, la tecnica iniziale assomigliava in qualche modo all’analisi di travi (truss analysis). Il metodo si è poi evoluto, prima nell’industria aerospaziale e, a seguire, quella automobilistica e, infine, a quella dei manufatti con esigenze funzionali.
L’idea alla base della FEA è di dividere in parti relativamente semplici, per l’appunto gli elementi finiti, una struttura di qualsiasi complessità di forma.

La geometria di ogni elemento è quindi descritta da un certo numero di nodi, tipicamente situati ai vertici dell’elemento, in alcuni casi anche sul suo contorno e, talvolta, persino al suo interno. Nel caso classico dell’analisi statica lineare (la forma più semplice) il movimento di ogni punto di ciascun elemento è assunto come funzione nota dei movimenti dei nodi; ciò permette di definire la rigidità dell’elemento e di calcolare il comportamento dello stesso in funzione dell’applicazione di una serie di carichi bilanciati. Poiché gli elementi sono connessi attraverso i nodi comuni, si trova la rigidità degli elementi che contornano un nodo relativamente al suo spostamento e allo spostamento degli altri nodi degli elementi al contorno. Se ciò è ripetuto per ogni nodo del modello, si ottiene una serie di equazioni simultanee che possono essere risolte per determinare lo spostamento di tutti i nodi.

La matematica di questo tipo di equazioni si identifica con il calcolo matriciale. In termini semplici, la matrice è un insieme di numeri disposti in una tabella per righe e per colonne dove ogni numero è identificato da due indici per indicare rispettivamente la riga e la colonna. Il calcolo matriciale è quindi lo studio sistematico delle operazioni che si possono eseguire su queste matrici.
Nel caso specifico, i valori delle coordinate dei nodi sono sistemati in ciò che è tipicamente chiamata matrice B di ogni elemento. Un’altra griglia di numeri forma la matrice D con le proprietà elastiche del materiale. Una serie specifica di moltiplicazioni e divisioni trasforma le matrici B e D nella matrice di rigidità K. A sua volta quest’ultima è assemblata in una matrice di riferimento del manufatto intero. Elementi specifici di questa matrice sono combinati con i carichi e i vincoli esterni. Dopo i calcoli si giunge così alla determinazione degli spostamenti nodali, quindi delle deformazioni (strains) che, assumendo la linearità di comportamento elastico del materiale, si traducono direttamente in sollecitazioni (stress) sullo stesso.
Nel campo ingegneristico della rispondenza meccanica di una struttura, l’uso più comune del metodo FEA è per le analisi elastiche statiche lineari in cui il modello elastico del materiale si può assumere costante nell’intervallo di sforzi/deformazioni considerato e le deformazioni sono sufficientemente piccole da non modificare sostanzialmente la geometria. In realtà esistono almeno due tipi di non linearità di comportamento anche per le analisi di struttura: non linearità geometrica e non linearità del materiale.

La non linearità geometrica si produce quando le distorsioni assumono un valore tale da modificare la linea di azione delle forze. In genere, per i polimeri si assume che quando la deformazione supera l’1.5% l’accuratezza dei risultati peggiora molto rapidamente a meno di utilizzare elementi particolari. Classicamente, questa mancanza di linearità si risolve applicando i carichi con gradualità e modificando la geometria dopo ogni calcolo intermedio. Ciò complica moltissimo le cose e, sebbene per le materie plastiche la situazione di deformazioni relativamente grandi è molto frequente, spesso analisi strutturali di supporto alla progettazione di manufatti ignorano questa problematica.
La non linearità del materiale si manifesta quando il modulo elastico varia con la sollecitazione o quando si hanno deformazioni da scorrimento viscoso (funzione del carico e del tempo). Sfortunatamente, ancora una volta i termoplastici sono il miglior esempio di questa complessità di comportamento. In queste condizioni di non linearità, una classica analisi FEA richiede di iniziare con un modulo stimato che deve poi essere variato in modo iterativo in funzione dei risultati. Per questo motivo le analisi di rigidità con i materiali plastici richiedono l’assistenza di uno specialista in analisi strutturali che sia in grado di decidere quali elementi e assunzioni utilizzare. La conoscenza dei potenziali problemi del modello e una buona comprensione del comportamento dei materiali plastici sono quindi essenziali.
Anche un’accurata analisi di stress è raramente in grado di concludere un’attività di progettazione che richiede sempre la capacità di giudicare che i carichi siano stati applicati correttamente e che le proprietà del materiale siano sufficientemente ben descritte. Fatte salve queste verifiche, l’analisi strutturale è in grado di rimuovere le maggiori incertezze nello sviluppo di un progetto di un manufatto.

la vite giusta per il lavoro giusto

full credits: Skil.it

TESTA DELLA VITE – Come per la semplice testa a taglio, ci sono tre diversi tipi di teste in cui si innesta la punta del cacciavite o la punta del trapano: Torx (TX), Pozidriv (PZ) o a croce e Phillips (PH) o a stella. La Pozidriv (PZ) è quella più comunemente utilizzata. La vite PZ ha altre quattro scanalature tra quelle principali rispetto alla vite a croce PH. La punta del cacciavite corrispondente (PZ) ha tagli diritti e, tra questi, intagli paralleli che si innestano nelle scanalature della testa della vite. Il cacciavite o punta Pozidriv si riconosce dalla cima arrotondata. Questa consente di entrare più in profondità nella testa della vite, garantendo una presa migliore. Le punte e i cacciavite Phillips hanno la cima a punta con tagli ovalizzati.

1. Viti per legno
– Testa: a testa svasata/con calotta
– Impronta: PZ/PH/Torx
– Utilizzo: lavori generici di falegnameria

2. Vite per lamiera
– Testa: cilindrica/a goccia di sego/tonda
– Impronta: taglio
– Utilizzo: fissaggio di lamiere sottili o plastica. Queste viti sono tutte autofilettanti

3. Tiranti (vite a doppio filetto)
– Testa: filettatura per legno (metrica)
– Impronta: vite a doppio filetto
– Utilizzo: fissaggi invisibili tra pannelli di legno, tavole, ecc.

4. Vite mordente o tirafondo per legno
– Testa: esagonale
– Impronta: chiave inglese a bussola
– Utilizzo: fissaggio di tavole pesanti o di altri elementi strutturali in legno

5. Vite per specchi
– Testa: svasata
– Impronta: PZ
– Utilizzo: fissaggio di specchi e accessori per il bagno. La testa di questa vite è nascosta da un cappuccio di plastica o cromato

6. Vite per legno
– Testa: tonda
– Impronta: taglio
– Utilizzo: lavori generici di falegnameria

7. Vite per legno
– Testa: a goccia di sego
– Impronta: taglio
– Utilizzo: fissaggio ferramenta e accessori. La testa della vite rimane sporgente rispetto alla superficie del legno

8. Vite di fissaggio
– Testa: svasata
– Impronta: PZ/PH/TX
– Utilizzo: fissaggio cerniere di porte, targhette e altri elementi decorative con fori svasati

9. Vite per legno
– Testa: svasata
– Impronta: taglio
– Utilizzo: fissaggi universali nel legno. La testa della vite si inserisce all’interno della svasatura quando viene serrata

VITE DI FISSAGGIO – Questo tipo di vite viene utilizzato per fissare bandelle (cerniere per pianoforte) e cerniere per finestre. Il diametro della testa è più piccolo della norma, in questo modo la testa si inserisce con discrezione nel foro svasato della cerniera. Disponibile da 16 a 30 mm, di norma con impronta PZ.

VITE PER TAVOLE IN MDF – Le viti per tavole in MDF sono ideali per pannelli in MDF per interni e mobilia. La testa svasata della vite può essere facilmente e rapidamente inserita nella sua sede. Puoi serrare la vite fino al bordo senza spaccare il materiale e non c’è bisogno di praticare prefori. Le viti per MDF hanno una speciale filettatura e sono disponibili da 40 a 50 mm, di norma con impronta TX.

VITE PER PAVIMENTI – Le viti per pavimenti sono ideali per pavimenti in legno massiccio. La vite può essere completamente inserita nel pavimento grazie alla sua testa di forma conica e dal diametro ridotto. Non è necessario praticare prefori; le viti per pavimento non spaccano il legno. Disponibile da 35 a 55 mm, di norma con impronta TX.

VITE PER TRUCIOLATO – Le viti per truciolato servono per fissare pannelli in truciolato, ad esempio in tettoie per automobili, balconi e altre strutture di supporto. Vengono usate anche per zoccoli, ferramenta di fissaggio e listoni per rivestimenti. Queste viti sono disponibili con teste svasate, cilindriche e a goccia di sego. Disponibili da 35 a 200 mm, di norma con impronta PZ.

VITE PER CARTONGESSO – Le viti per cartongesso sono adatte per il fissaggio di cartongesso su strutture di supporto in legno. Hanno la testa a forma di tromba e una filettatura a passo grosso. Queste viti consentono di eseguire un fissaggio rapido e resistente. Non è necessario praticare prefori fino a uno spessore di 2 mm. Le viti per cartongesso sono indurite e hanno una placcatura protettiva. Disponibili in lunghezze che vanno da 25 a 90 mm, di norma con impronta PH.

VITE IN ACCIAIO INOX – Le viti in acciaio inossidabile sono ideali per applicazioni all’esterno o in ambienti umidi. Queste viti sono disponibili con teste svasate, cilindriche o a goccia di sego e sono destinate ai fissaggi legno su legno come in tettoie per automobili, balconi e altre strutture di supporto. Disponibili in lunghezze che vanno da 25 a 120 mm, di norma con impronta TX.

VITE DA COSTRUZIONE – Le viti da costruzione sono facili da fissare grazie alla filettatura di lunghezza ridotta. Queste viti sono ideali per strutture in legno come intelaiature a traliccio e case, tettoie per automobili, lavori di ampliamento abitazione e aree di gioco. È facile inserire queste viti nelle svasature grazie alle nervature sotto la testa. Non è necessario il preforo. Queste viti sono disponibili con testa svasata e tonda flangiata. Disponibili in lunghezze che vanno da 80 a 400 mm, di norma con impronta TX.

VITE MORDENTE (TIRAFONDO PER LEGNO) – Le viti mordenti o tirafondi per legno hanno la testa esagonale e sono disponibili da M5 a M8 in lunghezze da 30 a 100 mm. Queste viti vengono utilizzate per supportare carichi pesanti. Ad esempio, sono ideali per appendere radiatori per riscaldamento centrale, per il fissaggio di una tavola o di una trave secondaria al pavimento, oppure per fissare le gambe di tavoli pesanti. Per serrare la testa esagonale utilizza una chiave inglese o a bussola.

Bioprinting for Regenerative Medicine

credits: wscs.com

following up on my previous post (more than six years ago!)

Anthony Atala is a pediatric surgeon, urologist and directs the Wake Forest Institute for Regenerative Medicine (WFIRM) in North Carolina. Together with 400 colleagues and in a work that spans more than three decades, he has successfully implanted in human patients a variety of tissues regenerated from the patient’s own cells. Dr. Atala talked to 3DPrint.com about ways to translate the science of regenerative medicine into clinical therapy and the importance of adopting new technologies, as well as some of the challenges.

“Back in the 90’s we created by hand, even without using the printer, bladders, skin, cartilage, urethra, muscle and vaginal organs, and later implanted them successfully in patients. The printer automated what we were already doing and scaled it up making some of the processes easier. Still, the technology has its own challenges. With hand made constructs you have more control as you are creating the tissue, but with the printed structure everything has to be built in before it is created, so that you have to have the whole plan and information ready to go once you push that ‘start’ button”.

The WFIRM is working to grow tissues and organs and develop healing cell therapies for more than 40 different areas of the body, from kidney and trachea to cartilage and skin. Dr. Atala and his team of scientists have been first in the world to implant lab-grown tissues and organs into patients. Starting in 1990 with most of their research and implanting the first structures at the end of that decade, using a 3D printer to build a synthetic scaffold of a human bladder, which they then coated with cells taken from their patients. New research at WFIRM shows innovative wound healing through the use of a bedside 3D skin printer.

“Today, we continue to develop replacement tissues and organs, and are also working to speed up the availability of these treatments to patients. The ultimate goal is to create tissues for patients. Part of that is taking a very small piece of the patients tissue from the organ that we are trying to reconstruct, like muscle or blood vessels, only to expand the cells outside of the body and then use them to create the organ or structure along with a scaffold or a hydrogel which is the glue that holds the cells together. We have been doing this for quite some time with patients and 16 years ago we realized that we needed to scale up the technology and automate it to work with thousands of patients at a time, so we started thinking about 3D printers, and began using the typical desktop inkjet printer which was modified in-house to print cells into a 3D shape”.

The living cells were placed in the wells of the ink cartridge and the printer was programmed to print them in a certain order. The printer is now part of the permanent collection of the National Museum of Health and Medicine. According to Dr. Atala, all the printers at the WFIRM continue to be built in-house specifically to create tissues, so that they are highly specialized and able to create cells without damaging the tissue as it gets printed. Inside the institute, more than 400 scientists in the fields of biomedical and chemical engineering, cell and molecular biology, biochemistry, pharmacology, physiology, materials science, nanotechnology, genomics, proteomics, surgery and medicine work to try to develop some of the most advanced functional organs for their patients. At WFRIM they are focusing on personalized medicine, whereby the scientists use the sample tissue from the patient they are treating, grow it and implant it back to avoid rejection. Dr. Atala claims that “these technologies get tested extensively before they are implanted into a patient”, and that “it could take years or even decades of research and investigation before going from the experimental phase to the actual trial in humans. Our goal for the coming decade is to keep implanting tissues in patients, however, the most important thing for us is that we temper peoples expectations because these tissues come out very slowly and they come out one at a time, so we don’t give false hopes and provide the technology to patients who really need them. Working with over 40 different tissues and organs, means that about 10 applications of this technologies are already in patients. The research we have done helps us categorize tissues under order of complexity, so we know that flat structures (like skin) are the least complex; tubular structures (such as blood vessels) have the second level of complexity, and hollow non-tubular organs, including the bladder or stomach, have the third level of complexity because the architecture of the cells are manifold. Finally, the most complex organs are solid ones, like the heart, the liver and kidneys, which require more cells per centimeter”.

creativity is free and 3D-printable

source: https://i.materialise.com/en

In line with their mission to create a better and healthier world, Materialise designed a hands-free 3D-printed door opener. This is intended to help minimize the unavoidable daily task of opening and closing doors and ultimately decrease the spread of germs like the coronavirus. 

The design file is free for anyone to download on Materialise official website, making it possible to 3D print locally at factories around the world. On the Materialise online shop it is also possible to order a pack of four with screws included. 

You can reduce the spread of germs during your daily tasks easily just by fastening the openers to your door handles. Help do your part to minimize risky contact and make a positive change!

In order to make this solution available to as many as possible, Materialise are introducing additional designs, including openers that fit door handles of various shapes and sizes as well as options that are smaller and therefore more affordable to print. Materialise’s Design and Engineering team is continuing to work on more variations, so check back regularly to find more models.

Artroscopia del ginocchio & instabilità rotulea

fonti: uno, due e tre

L’artroscopia del ginocchio è una tecnica chirurgica minimamente invasiva, che permette la diagnosi e la cura di numerose problematiche del ginocchio. La sua esecuzione prevede la pratica di piccolissime incisioni cutanee a livello del ginocchio e l’impiego dell’artroscopio, uno strumento a forma di cannuccia e dotato di una telecamera e una fonte luminosa. Con un unico strumento è possibile sia effettuare la diagnosi che operare al tempo stesso, con un notevole risparmio di tempo. Le procedure di artroscopia del ginocchio impongono una certa preparazione, la quale tuttavia è molto semplice da attuare. Nell’artroscopia del ginocchio, fase post-operatoria, tempi di guarigione e ritorno alle attività quotidiane variano in base ai motivi di attuazione della tecnica chirurgica in questione.

https://www.my-personaltrainer.it/imgs/2018/02/17/artroscopia-del-ginocchio-artroscopio-orig.jpeg

L’artroscopio presenta, a un’estremità, una rete di fibre ottiche con la doppia funzione di telecamera e sorgente luminosa, e, quasi all’altra estremità, un cavo per l’accensione della rete a fibre ottiche e per il collegamento della suddetta telecamera a un monitor. Durante gli interventi in artroscopia del ginocchio, l’artroscopio è lo strumento che il medico operante introduce, dalla parte della telecamera e della sorgente luminosa, all’interno dell’articolazione del ginocchio e che utilizza, successivamente, come macchina da presa esplorativa capace di trasmettere quanto filmato nel monitor collegato.
Grazie alla sua forma a cannuccia, l’artroscopio è un apparecchio estremamente maneggevole e capace di incunearsi in ogni angolo dell’articolazione; inoltre, sempre grazie alla sua forma assottigliata, la sua introduzione all’interno del corpo umano non richiede l’esecuzione di una grande incisione, ma solo di una piccola apertura cutanea non superiore al centimetro.

Si posiziona l’artroscopio nell’articolazione del ginocchio, dove è possibile visualizzare i menischi, le cartilagini e i legamenti crociati (artroscopia diagnostica). Se è presente una patologia a carico di queste strutture è possibile passare alla fase chirurgica vera e propria con possibilità di effettuare meniscectomie (asportazione di frammenti meniscali), e regolarizzazione (nei limiti del possibile) delle lesioni cartilaginee; è possibile sotto guida artroscopica effettuare ricostruzioni legamentose dei legamenti crociati.

INSTABILITÀ ROTULEA

L’instabilità rotulea è una patologia che nasce dalla incongruenza articolare nello scorrimento della rotula sulla doccia femorale (troclea) e si codifica in rapporto al grado/gravità, dall’iperpressione rotulea esterna alla lussazione rotulea con il grado intermedio della sublussazione rotulea.

I sintomi variano in rapporto alla gravità. Nei casi più lievi, il sintomo più frequente è il dolore anteriore al ginocchio e dolore che compare mantenendo a lungo una posizione a ginocchio flesso. Nei casi di maggiore gravità, il paziente lamenta “cedimenti” o instabilità del ginocchio, non riesce a praticare adeguatamente sport in carico e può riferire anche la “fuoriuscita” della rotula, incompleta (sublussazione) o completa (lussazione).

L’approfondito esame clinico specialistico è fondamentale per inquadrare correttamente la patologia e deve valutare non solo la condizione del ginocchio, ma di tutto l’arto inferiore (analisi dell’asse biomeccanico e della rotazione del femore, condizione muscolare etc.) e si integra all’acquisizione di specifici esami strumentali quali RX assiali con proiezione rotulea, RMN e TC con scansioni specifiche/protocollo lionese. È importante valutare in modo accurato la patologia monitorando anche la condizione cartilaginea dell’articolazione femoro-rotulea in quanto l’incongruenza od instabilità può produrre in varia misura una usura accelerata della cartilagine.

Il trattamento conservativo (comprensivo di potenziamento e riequilibrio muscolare) porta a risultati positivi anche nei casi di minore gravità, si integra all’utilizzo di terapia fisica nelle fasi acute e si associa anche all’utilizzo di specifiche ginocchiere, che possono portare ad un oggettivo miglioramento della congruenza rotulea e può premettere di praticare attività sportiva. Il “banco di prova” del recupero funzionale è nello sportivo è la completa ripresa dell’attività in assenza di limitazioni funzionali. In alternativa, il trattamento artroscopico varia in rapporto alla gravità e condizione della patologia.

Robotic cane could improve walking stability

source and credits: TheRobotReport

By adding electronics and computation technology to a simple cane that has been around since ancient times, a team of researchers at Columbia Engineering have transformed it into a 21st century robotic device that can provide light-touch assistance in walking to the aged and others with impaired mobility. A team led by Sunil Agrawal, professor of mechanical engineering and of rehabilitation and regenerative medicine at Columbia Engineering, has demonstrated, for the first time, the benefit of using an autonomous robot that “walks” alongside a person to provide light-touch support, much as one might lightly touch a companion’s arm or sleeve to maintain balance while walking. Their study has been published in the IEEE Robotics and Automation Letters.

Often, elderly people benefit from light hand-holding for support,” explained Agrawal, who is also a member of Columbia University’s Data Science Institute. “We have developed a robotic cane attached to a mobile robot that automatically tracks a walking person and moves alongside,” he continued. “The subjects walk on a mat instrumented with sensors while the mat records step length and walking rhythm, essentially the space and time parameters of walking, so that we can analyze a person’s gait and the effects of light touch on it.

The light-touch robotic cane, called CANINE, acts as a cane-like mobile assistant. The device improves the individual’s proprioception, or self-awareness in space, during walking, which in turn improves stability and balance. “This is a novel approach to providing assistance and feedback for individuals as they navigate their environment,” said Joel Stein, Simon Baruch Professor of Physical Medicine and Rehabilitation and chair of the department of rehabilitation and regenerative medicine at Columbia University Irving Medical Center, who co-authored the study with Agrawal. “This strategy has potential applications for a variety of conditions, especially individuals with gait disorders.

To test this new device, the team fitted 12 healthy young people with virtual reality glasses that created a visual environment that shakes around the user – both side-to-side and forward-backward – to unbalance their walking gait. The subjects each walked 10 laps on the instrumented mat, both with and without the robotic cane, in conditions that tested walking with these visual perturbations. In all virtual environments, having the light-touch support of the robotic cane caused all subjects to narrow their strides. The narrower strides, which represent a decrease in the base of support and a smaller oscillation of the center of mass, indicate an increase in gait stability due to the light-touch contact.

The next phase in our research will be to test this device on elderly individuals and those with balance and gait deficits to study how the robotic cane can improve their gait,” said Agrawal, who directs the Robotics and Rehabilitation (ROAR) Laboratory. “In addition, we will conduct new experiments with healthy individuals, where we will perturb their head-neck motion in addition to their vision to simulate vestibular deficits in people.

While mobility impairments affect 4% of people aged 18 to 49, this number rises to 35% of those aged 75 to 80 years, diminishing self-sufficiency, independence, and quality of life. By 2050, it is estimated that there will be only five young people for every old person, as compared with seven or eight today. “We will need other avenues of support for an aging population,” Agrawal noted. “This is one technology that has the potential to fill the gap in care fairly inexpensively.

 

9th Summer School on Surgical Robotics

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The registration for the 9th Summer School on Surgical Robotics (SSSR-2019) is now open (registration deadline: July 26th, 2019).

The School will be held in Montpellier, France, from 23th to 28th September 2019, and is open to Master students, PhD students, Post-docs and participants from industry.

All information can be found on the official website: http://www.lirmm.fr/sssr-2019/

sssr-2019 Working on translationnal activities in surgical robotic inside LIRMM office located in the new medical school of Montpellier, France.

Robotics enables surgery to be less invasive and/or to enhance the performance of the surgeon. In minimally invasive surgery (MIS) for instance, robotics can improve the dexterity of conventional instruments, which is restricted by the insertion ports, by adding intra-cavity degrees of freedom. It can also provide the surgeon with augmented visual and haptic inputs. In open surgery, robotics makes it possible to use in real time pre-operative and per-operative image data to improve precision and reproducibility when cutting, drilling, milling bones, to locate accurately and remove tumours. In both cases, as in other surgical specialities, robotics allows the surgeon to perform more precise, reproducible and dextrous motion. It is also a promising solution to minimize fatigue and to restrict exposition to radiation. For the patient, robotics surgery may result in lower risk, pain and discomfort, as well as a shorter recovery time. These benefits explain the increasing research efforts made all over the world since the early 90’s.

Surgical robotics requires great skills in many engineering fields as the integration of robots in the operating room is technically difficult. It induces new problems such as safety, man-machine cooperation, real time sensing and processing, mechanical design, force and vision-based control. However, it is very promising as a mean to improve conventional surgical procedures, for example in neurosurgery and orthopaedics, as well as to provide innovation in micro-surgery, image-guided therapy, MIS and Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery (NOTES).

sssr-2019 LIRMM at Montpellier faculty of medecine 2, France

The highly interdisciplinary nature of surgical robotics requires close cooperation between medical staff and researchers in mechanics, computer sciences, control and electrical engineering. This cooperation has resulted in many prototypes for a wide variety of surgical procedures. A few robotics systems are yet available on a commercial basis and have entered the operating room namely in neurosurgery, orthopaedics and MIS.

Depending on the application, surgical robotics gets more or less deeply into the following fields:

  • multi-modal information processing;
  • modelling of rigid and deformable anatomical parts;
  • pre-surgical planning and simulation of robotic surgery;
  • design and control of guiding systems for assistance of the surgeon gesture.

During the Summer school, these fields will be addressed by surgeons and researchers working in leading hospitals and labs. They will be completed by engineers who will give insight into practical integration problems. The courses are addressed to PhD students, post-docs and researchers already involved in the area or interested by the new challenges of such an emerging area interconnecting technology and surgery. Basic background in mechanical, computer science, control and electrical engineering is recommended.

Cariche inerti per resine

fonti: uno e due

Sono considerate cariche tutti i materiali inerti, generalmente polveri di varia origine (minerale, vegetale, metallica) e granulometria, che possono essere aggiunti alle resine per modificarne le caratteristiche come il peso, la resistenza meccanica, la lavorabilità, la densità, l’aspetto, la tixotropia e la consistenza in genere, senza però modificarne la reazione chimica.
L’aggiunta di cariche inerti nella resina comporta l’aumento del volume del composto (resina + carica), riducendo al contempo la percentuale di resina nella massa. Questo genera diversi vantaggi, come l’abbassamento del picco esotermico (massima temperatura raggiungibile durante il processo di polimerizzazione delle resine), l’aumento della stabilità dimensionale e il contenimento del costo totale.
Ogni tipo di carica ha in genere un diverso comportamento nei riguardi della resina in cui è stata additivata, e ciò determina le caratteristiche finali del composto. Le particelle delle diverse cariche infatti hanno strutture diverse tra di loro: possono essere sferiche, lamellari, poliedriche o amorfe, e ciò influisce sul rapporto tra incremento di volume e viscosità del composto. Di seguito alcuni esempi di cariche comunemente impiegate.

Polveri e graniglie minerali:

  • Expanglass (granuli di vetro soffiato):inerte leggero ed altamentemicrosfere-vetro-cave-s resistente a compressione. Non assorbe resina ed ha alte resistenze chimiche. Compatibile con tutti i tipi di resina.
  • Sabbie di quarzo: pure e selezionate da utilizzare con resine epossidiche, nella preparazione di malte ad alta resistenza per riparazioni di pavimenti industriali, sigillatura lesioni, rifacimento parti mancanti; edilizia, restauro.

Graniglie metalliche:

    • Graniglia di alluminio: carica per la costruzione di stampi in resina epossidica; agevola la dissipazione del calore.
    • Graniglie selezionate di rame, bronzo, ottone e zinco:conglomerati ad alto graniglie_metallichecontenuto di metallo, con legante poliestere per settoreartistico e oggettistica.
    • Grafite: in polvere finissima costituita da carbonio puro, utilizzata per disegnare su carta creazioni prospettiche,sfumature e per dare rilievo a luci e ombre. Se dispersa in un legante permette di ottenere colorigrafite-polvere-small per pittura. Utilizzata anche come carica inerte per resine da colata e resine da laminazione.

Graniglie vegetali:

  • Gusci di noce: macinati, vengono utilizzati nel settore restauro per sabbiature delicate su dipinti e opere in legno, o in impasti con resine per ottenere conglomerati (esempio: pasta legno lavorabile per restauro di opere lignee).
  • Polvere di legno: ottenuta dalla macinazione di fibre vegetali, è ideale per essere polvere-legno-smallutilizzata come carica inerte di riempimento per resine e colle nella produzione di composti da colata, stucchi e paste che una volta induriti, assumendo le caratteristiche tipiche del legno come il peso, la lavorabilità e l’aspetto, possano essere utilizzati per interventi riempitivi e di ricostruzione di supporti e manufatti in legno.
  • Polpa di cellulosa: è costituita da microfibre di pura cellulosa insolubili nella maggior parte dei solventi, ed è utilizzata come carica inerte per resine e nella preparazione di pappette o impacchi di pulitura per superfici lapidee ed affreschi, alle quali conferisce proprietà supportanti e assorbenti.polpa-cellulosa-small