ChatGPT come dispositivo medico?

full credits: HealthTech360

I chatbot basati sull’Intelligenza Artificiale hanno attirato l’attenzione nel campo dell’assistenza sanitaria per la loro promessa di migliorare l’accessibilità e l’efficacia dei servizi medici. Tuttavia, il loro utilizzo come dispositivi medici regolamentati si scontra con un ostacolo significativo: l’affidabilità delle risposte.

L’approvazione dei chatbot come dispositivi medici richiede una solida base scientifica e un’elevata precisione nella valutazione dei sintomi, delle diagnosi e delle raccomandazioni di trattamento, ma le attuali limitazioni tecnologiche e le sfide nell’addestramento degli algoritmi rendono difficile garantire la loro affidabilità completa.

I Large Language Models (LLM) sono modelli di linguaggio basati su reti neurali tra cui il Pre-trained Transformer (GPT) di OpenAI e il Pathways Language Model (PaLM) di Google. ChatGPT è un chatbot, basato su LLM, lanciato nel novembre 2022 da OpenAI, che ha una notevole capacità di conversazione e la capacità di imitare, quasi istantaneamente e in modo creativo, diversi stili di conversazione umana in base alle richieste dell’utente. È stato proposto che i chatbot LLM possano essere utilizzati in Medicina. Dopotutto, nell’ambito sanitario, lo scambio di informazioni, la consulenza e il collegamento dei flussi informativi sono parti cruciali della fornitura di servizi.

Un aspetto che spicca in GPT-4 è la sua abilità nell’editing e nell’analisi delle informazioni.
Sebbene non sia altrettanto efficace nella generazione di contenuti originali, la sua forza risiede nella revisione e valutazione di vari aspetti. Ciò che colpisce, in particolare, è la sua capacità di individuare incongruenze, mancanza di citazioni e scarsa inclusività in articoli scientifici e documenti medici. Questo apre interessanti possibilità, come l’utilizzo di GPT-4 come strumento per individuare errori e garantire la qualità delle pratiche mediche. Inoltre, GPT-4 dimostra sorprendenti capacità empatiche. È in grado di offrire supporto ai pazienti e mostrare empatia nei confronti dei medici di fronte a situazioni complesse. Ci sono stati casi in cui ha superato i medici umani in termini di sensibilità e risposte di alta qualità. Questo solleva interrogativi sul potenziale utilizzo della tecnologia per migliorare la comunicazione tra operatori sanitari e pazienti, nonostante la convinzione comune che l’empatia dovrebbe provenire esclusivamente dai medici umani.

Mentre si apprezzano i benefici di GPT-4, si riconosce anche la necessità di regolamentazione, soprattutto nel settore sanitario. Sebbene la Medicina abbia una lunga tradizione di rispetto delle normative, l’avvento delle tecnologie dell’intelligenza artificiale richiede un quadro regolatorio dedicato. È fondamentale che la comunità medica se ne assuma la responsabilità partecipando attivamente nella definizione del corretto utilizzo delle tecnologie come GPT-4. Questo implica la conduzione di ricerche per stabilire basi solide per normative oculate, linee guida e standard etici, tenendo conto dei potenziali rischi e limitazioni associate all’AI nel settore sanitario. Inoltre, l’accesso democratico alla conoscenza medica e l’abilitazione dei pazienti con informazioni accurate tramite GPT-4 sono temi che richiedono attenzione. Ciò consente ai pazienti di accedere a informazioni mediche specialistiche, contribuendo alla formazione di una popolazione di pazienti più informata aumentando la health literacy.

La garanzia di affidabilità e fiducia nella suddetta tecnologia presenta sfide che richiedono un’attenta considerazione. Durante questo percorso, infatti, sorge la questione se GPT-4 comprenda realmente o se sia semplicemente un sofisticato ripetitore di informazioni. Come scienziati, è fondamentale basarsi su prove ed evidenze. La comunità scientifica deve ancora fornire test definitivi che dimostrino in modo coerente i suoi limiti: cercando di evitare di attribuire ai chatbot caratteristiche umane è possibile condurre test maggiormente oggettivi. Le ricerche e i progressi in corso in questo campo contribuiranno senza dubbio a una comprensione più approfondita delle tecnologie di intelligenza artificiale.

Oggi, tuttavia, gli sviluppatori di chatbot LLM riconoscono che questi possono generare affermazioni altamente convincenti ma che sono sbagliate, nonché – talvolta – generare informazioni fittizie o risposte inappropriate alle domande. I chatbot LLM producono una “continuazione ragionevole” del testo, a partire da un prompt, utilizzando il risultato dell’apprendimento ottenuto dall’analisi del contenuto di miliardi di pagine Web e libri generici non identificati. Il loro sviluppo include l’apprendimento per tentativi ed errori, sia non supervisionato che supervisionato, per ottimizzare la loro plausibilità e ragionevolezza. Oggi non c’è modo di essere certi della qualità, del livello di evidenza o della coerenza delle informazioni cliniche o delle prove a sostegno di qualsiasi risposta dei LLM. I LLM, semplicemente, riassemblano ciò che è stato scritto più comunemente dagli esseri umani. Inoltre, quando viene loro chiesto di produrre una fonte, spesso inventano una citazione plausibile, ma inesistente. Questo era ancor più vero fino a pochissimo tempo fa, anche se il progresso è estremamente rapido in questo ambito e nuovi plug-in di ChatGPT – come ScholarAI  – a disposizione nella versione a pagamento – permettono di citare fonti scientifiche in modo sempre più affidabile.

Il software che esegue qualcosa di più delle semplici funzioni di database per assistere nella diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o alleviamento della malattia è classificato come dispositivo medico e, quindi, si applicano controlli normativi, incluso il requisito che gli strumenti siano sviluppati in un sistema di gestione della qualità. L’UE richiede anche la sorveglianza post-commercializzazione e il follow-up clinico, che sono particolarmente impegnativi per i LLM. Poiché non hanno garanzia di qualità ereditabile dai loro sviluppatori, sono esclusi dall’uso come componenti “plug-in” esterni di dispositivi medici, ad esempio attraverso un’interfaccia di programmazione dell’applicazione (API). Poiché, inoltre, i LLM hanno una gamma quasi infinita di input e output, è difficile testarne l’usabilità e le prestazioni sul mercato, quindi è discutibile se la loro tendenza a suggerire informazioni dannose o false, ma altamente plausibili, possa mai essere controllata. Allo stato attuale, gli LLM trascurano il fatto che le informazioni mancanti siano necessarie per fornire una risposta accurata, non forniscono alcuna indicazione di accompagnamento di relativa certezza o fiducia e, generalmente, non forniscono fonti autentiche.

Quanto sopra esclude il loro uso negli Stati Uniti per il supporto decisionale clinico. Inoltre, ciò rende estremamente impegnativo verificare i risultati del processo di progettazione, mitigare tutti i rischi identificati e dimostrare una valida associazione clinica tra input e output, sia prima dell’approvazione che nel monitoraggio continuo, dopo il loro rilascio sul mercato. I suddetti problemi escludono, di fatto, una commercializzazione degli LLM – quali ChatGPT & Co. – valida come dispositivo medico ai sensi dell’attuale regolamentazione dell’UE. Del resto, si potrebbe fare un parallelismo con i motori di ricerca: essi possono avere un ruolo nel processo decisionale, ma questo non li rende dispositivi medici regolamentati, poiché i loro sviluppatori – in fase di progettazione – non avevano previsto come scopo dei motori quello di fornire uno strumento per la diagnosi medica, il supporto decisionale o la pianificazione della terapia.

reni ingegnerizzati

full credits: Claudia Capellini per IngegneriaBiomedica.org

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Le malattie croniche renali sono considerate tra le più pericolose e mortali a livello globale, interessando quasi un soggetto su dieci. Una nuova sfida è quindi all’orizzonte per la medicina rigenerativa: può l’ingegneria tissutale fornire un nuovo strumento per ripristinare le funzionalità di un rene malato?

Una soluzione arriva dall’electrospinning, un processo produttivo elettrodinamico largamente impiegato nell’ingegneria tissutale. Questa tecnica permette di sfruttare un’ampia varietà di materiali, ottenendo strutture con proprietà meccaniche desiderate per rilasciare componenti di interesse. L’obiettivo è quello di comprendere a fondo lo sviluppo di tessuto renale maturo, per tentare di ripristinare o potenziare le funzioni biologiche degli organi malati attraverso l’ingegneria e la biologia.

Anatomia e fisiologia del rene

I reni sono organi pari e simmetrici posti nella cavità addominale ai lati della colonna vertebrale, in corrispondenza delle ultime due vertebre toraciche (T-11 e T-12) e delle prime due lombari (L-1 e L-2). Le funzioni principali del rene sono la regolazione della composizione dei liquidi corporei, l’eliminazione dei prodotti catabolici che derivano dal metabolismo di tutto l’organismo e la filtrazione del sangue, garantendo il mantenimento dell’omeostasi.

rene fisiologia uomo omeostasi

Figura 1. Disposizione anatomica umana dei due reni. Credits: lecturio

Un’alterazione nel funzionamento di questo apparato quindi, può determinare lo sviluppo di malattie renali croniche, ad oggi considerate come una delle principali cause di morte e sofferenza del 21esimo secolo, con un’insorgenza > 10% in tutto il mondo. Ad oggi le cure per le malattie croniche renali si basano quasi esclusivamente su dialisi e trapianti: la prima agisce ampiamente sulla qualità della vita del paziente, mentre la seconda è fortemente limitata dalla disponibilità di donatori. Opportunità di frontiera e soluzioni promettenti arrivano però dalla ricerca nel campo dell’ingegneria tissutale.

Un’opportunità è fornita dagli organoidi

Un organoide è un cluster cellulare 3D in vitro derivante da cellule staminali o da organi progenitori che spontaneamente si auto-organizzano spazialmente in modo simile alla controparte in vivo.

La realizzazione di organoidi renali permetterebbe non solo di comprendere il processo di formazione, crescita e sviluppo del tessuto, ma anche come questo si ammala, come interagiscono tra loro diverse tipologie di cellule e identificare l’efficacia di percorsi terapeutici innovativi.

La sfida principale di questo approccio è rappresentata dalla capacità di realizzare organoidi maturi e vascolarizzati in un microambiente cellulare che emuli i segnali fisiologici. L’electrospinning – o elettrofilatura – si prospetta in tal caso come una tecnica molto promettente.

Un po’ di storia: la biostampa

A partire dal 1993, anno in cui è stata proposta per la prima volta, l’ingegneria tissutale è stata considerata una possibile soluzione pratica per la sostituzione di tessuti danneggiati applicando principi ingegneristici e biologici. In questo ambito trovano posto gli scaffolds, cioè delle strutture tridimensionali che fungono da supporto per la proliferazione cellulare, incorporando e rilasciando fattori di crescita essenziali per lo sviluppo tissutale. Il bioprinting è una tecnica di biostampa 3D basata sulla deposizione di biomateriali “strato su strato” e pertanto molto utilizzato nella produzione di scaffolds anche in ambito industriale. In questo modo, infatti, si riescono ad ottenere strutture con geometrie complesse, canali interni e pori, il tutto con materiali bio-compatibili. Le tecniche ad estrusione garantiscono risultati generalmente affidabili e riproducibili, sfruttando principi meccanici e pneumatici per il rilascio di materiale.

Quando si generano degli organoidi, però, è necessario tenere in considerazione tutti quei fattori che garantiscono la differenziazione, l’organizzazione ma soprattutto la sopravvivenza cellulare nel substrato realizzato. Tra essi, troviamo materiale di composizione, forma, orientazione, fattori di crescita, porosità e stimoli meccanici, così come la durata e l’intensità di questi segnali. A tal proposito, l’electrospinning si presenta come tecnica affidabile per riprodurre un “ambiente” renale fisiologico.

L’elettrofilatura

L’elettrofilatura è una tecnica di filatura che impiega forze elettrostatiche per produrre fibre di dimensioni sub-millimetriche (dai 2 nm a qualche micrometro) per lo stretching uniassiale di una soluzione viscoelastica. Il suo largo utilizzo nell’ingegneria per la medicina rigenerativa è dettato dalla possibilità di funzionalizzare, modellare e caratterizzare il substrato così prodotto a seconda delle necessità, senza agire meccanicamente sul materiale da estrudere. In una prima fase, un materiale fuso o in soluzione è caricato in un estrusore immerso in un campo elettrico, per aumentarne il potenziale elettrostatico e la carica. Il volume di fluido contenuto nella punta dell’ago estrusore, grazie alla carica superficiale acquisita, riesce a vincere la tensione superficiale che ne influenza la forma per assumere la conformazione nota come “cono di Taylor”. Lo stress elettrico fa sì che il fluido tenda ad essere eiettato per l’attrazione esercitata dal campo esterno, che risulta maggiore sulla punta rispetto al bulk. In una seconda fase, il getto creato è portatore di
carica e quindi indirizzato nel senso del campo elettrico esterno.

elettrofilatura reni ingegneria

Figura 2. Rappresentazione schematica del setup per electrospinning e descrizione di alcune delle sue caratteristica con riferimento all’utilizzo per l’ingegneria tissutale dei reni. Credits: MDPI

rene electrospinning ingegneria cono taylor set up

Figura 3. Rappresentazione schematica del funzionamento ad estrusione dell’electrospinning. Credits: researchgate.net

A questo punto, durante il percorso che collega l’ago al collettore, il getto sarà vulnerabile a fattori di instabilità, in particolare a quella cosiddetta per “bending”. Le cariche presenti nel materiale estruso, infatti determinano repulsione e di conseguenza delle perturbazione lungo l’asse della fibra. Queste si manifestano nel momento in cui viene persa la perfetta simmetria della struttura, ovvero quando la fibra si allunga e quindi assottiglia prima di essere raccolta sul collettore. La traiettoria alterata e contemporaneamente l’ampia area superficiale permettono una veloce evaporazione del solvente e quindi la solidificazione della fibra nonostante il breve tempo di volo.

Un potenziale tutto da realizzare

Nel campo dell’ingegneria tissutale, uno dei vantaggi dell’elettrofilatura è rappresentato dalla facilità di controllo nella disposizione e nell’orientazione delle fibre di biomateriale elettrofilato. Questo risulta di particolare utilità per la proliferazione delle cellule che maturano sullo scaffold, poiché in molti casi ciò avviene lungo una direzione preferenziale. Tendenzialmente, le cellule sono seminate manualmente sui substrati elettrofilati, quindi la concentrazione potrebbe non essere uniforme e l’infiltrazione limitata agli strati superiori dello scaffold. Ma le matrici prodotte tramite l’electrospinning sono sottili e geometricamente controllabili tali da presentarsi come potenziali scaffolds renali. Considerato infatti il funzionamento a differenza di potenziale e senza applicazione di pressioni esterne, il biomateriale estruso non è sottoposto ad elevati shear stress. Nonostante queste ambizioni nella realizzazione di tessuto renale ingegnerizzato risalgano al 2006, solo recentemente sono stati osservati i primi progressi nel campo dell’elettrofilatura.

scaffold cellule rene

Figura 4. Impatto dell’architettura dello scaffold sul comportamento cellulare. Credits: researchgate.net

Recentemente, è stata sviluppata infatti una matrice elettrofilata a base di acido polilattico (PCL) per l’ingegneria tissutale del rene. Tali scaffolds sono risultati in grado di sostenere multi-popolazioni di cellule renali primarie isolate da ratto, seminate sulle matrici precedentemente prodotte. Marcatori specifici di interesse sono stati evidenziati e visualizzati sui costrutti ripopolati e mantenuti in coltura fino a sette giorni dalla semina cellulare.

Uno sguardo allo stato dell’arte

scaffold ibrido electrospinning polimeri

Figura 5. Ingrandimento che mostra l’integrazione e la sopravvivenza cellulare nel substrato dopo 14 (in alto) e 24 (in basso) giorni. Credits: Elsevier

Uno degli ambiti di maggiore studio e sviluppo di scaffolds per la rigenerazione tissutale è quello delle ossa e della cartilagine. In questo caso la sfida principale risiede nel realizzare strutture altamente porose e canalizzate, per permettere e mantenere sia la vitalità cellulare che la vascolarizzazione, ma al tempo stesso molto resistenti. All’Università Sungkyunkwan in Corea del Sud è stato realizzato un substrato ibrido combinando strati di fibre elettrofilate cariche di cellule e microstrutture polimeriche. Quando analizzato meccanicamente attraverso prove a trazione/compressione, il substrato ibrido è risultato decisamente più resistente rispetto a quello contente solamente le cellule, in quanto tutto lo sforzo veniva trasferito sulla componente polimerica; con il vantaggio aggiuntivo di evitare la una sollecitazione cellulare eccessiva.

La sfida ingegneristica per il tessuto renale

Il rene è un organo complesso, costituito tra gli altri da circa un milione di unità funzionali dette nefroni. Ogni nefrone consiste in più di 20 diverse tipologie di cellule. Utilizzare le cellule primarie per realizzare modelli e organoidi significherebbe avvicinarsi quanto più possibile alla realtà, ma allo stesso tempo avere un limitato raggio di azione. Le colture primarie infatti sono costituite da cellule già differenziate ad uno stato terminale, in grado di duplicarsi un numero limitato di volte prima di andare incontro a senescenza e che possono essere isolate solamente da tessuti espiantati oppure organi. Di conseguenza, ciò determinerebbe l’esclusione diretta di quelli rigettati o ad un avanzato stato di malattia. Le cellule staminali pluripotenti hanno il potenziale per essere utilizzate nella realizzazione di organoidi da trapiantare ma, oltre alle questioni etiche, sono limitate dagli stadi di maturazione che riescono a raggiungere.

Conclusioni e sviluppi futuri

Negli ultimi anni, varie tecniche di 3D bioprinting sono state utilizzate efficacemente per realizzare modelli in vitro di tessuto renale al fine di testare la nefro-tossicità di alcuni medicinali o studiare malattie acute. Ma sviluppare organoidi totalmente funzionali e pronti per i trapianti, richiede ulteriore ricerca soprattutto per quanto riguarda la vascolarizzazione, le tipologie di cellule da seminare sugli scaffold e il materiale più adatto per la loro realizzazione. Grande attenzione è da porre nei confronti di quelle tecniche che consentono di ottenere ambienti più fisiologici possibile; soprattutto dal punto di vista delle dimensioni, della porosità e della disposizione spaziale. Spesso infatti, l’additive manufacturing sfocia nella produzione di substrati geometricamente irrealistici. Al momento, bioinchiostri innovativi e modalità di perfusione attiva per garantire il corretto apporto di nutrienti nel substrato stanno ricevendo interesse esponenziale da parte dei ricercatori. Quello che è certo è che l’elettrofilatura ha conquistato il ruolo di tecnologia con capacità rivoluzionarie senza precedenti, anche grazie alla garanzia di una maggiore sopravvivenza cellulare.

Fonti e approfondimenti

  • MDPI – A Concise Review on Electrospun Scaffold for Kidney Tissue Engineering
  • PubMed.gov – Bioprinting of kidney in vitro models: cells, biomaterials, and manufacturing techniques
  • Centro di Ricerca Enrico Piaggio – Electrospinning
  • Ncbi – Epidemiology of chronic kidney disease: an update 2022
  • ELSEVIER – Fabrication of cell-laden electrospun hybrid scaffolds of alginate-based bioink and PCL microstructures for tissue regeneration
  • SpringerLink – A Non-woven Path: Electrospun Poly(lactic acid) Scaffolds for Kidney Tissue Engineering

il sovraspinato come fa

full credits: Antonio Griguolo

Il sovraspinato, anche noto come sopraspinato sovraspinoso, è uno dei quattro muscoli della cuffia dei rotatori. Ricoperto dai muscoli trapezio e parte del deltoide, il sovraspinato origina a livello della fossa sovraspinata della scapola e si proietta in direzione della testa dell’omero, inserendosi sulla faccetta superiore del tubercolo maggiore dell’osso del braccio.
Un dettaglio anatomico molto importante dell’inserzione del sovraspinato, soprattutto per i suoi risvolti clinici, è che essa transita sopra la capsula articolare dell’articolazione gleno-omerale e all’interno dello spazio subacromiale, sotto la borsa subacromiale e il legamento coracoacromiale. Assieme agli altri muscoli della cuffia dei rotatori, il sovraspinato partecipa alla stabilizzazione dell’articolazione gleno-omerale, favorendo il contatto tra testa dell’omero e glena della scapola. Questo muscolo, inoltre, interviene anche nei movimenti di abduzione ed extrarotazione dell’omero.

Disposti a formare una sorta di manicotto attorno alla suddetta articolazione, i quattro muscoli della cuffia dei rotatori sono: sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare. Caratteristica comune a tutti i muscoli della cuffia dei rotatori e meritevole di citazione è che originano a livello della scapola (ciascuno in sedi specifiche differenti) e s’inseriscono sulla porzione prossimale dell’omero (ognuno in un’area diversa). Il sovraspinato è noto soprattutto in ambito sportivo e clinico-riabilitativo, in quanto è il muscolo della cuffia dei rotatori che più spesso s’infortuna; tale predisposizione all’infortunio dipende dalla sua anatomia, in particolare dalla particolare collocazione.

Il sovraspinato è un muscolo profondo, relativamente piccolo e di forma triangolare, che nasce sulla superficie posteriore della scapola. Orientate per lo più in orizzontale, le sue fibre convergono in un tendine d’inserzione diretto alla testa dell’omero. Il sovraspinato è il muscolo della cuffia dei rotatori che occupa la posizione più elevata a livello scapolare. Il ventre muscolare del sovraspinato occupa l’intera fossa sovraspinata della scapola. Quando poi le sue fibre convergono nel tendine d’inserzione, transita all’interno dello spazio subacromiale e termina il proprio decorso inserendosi sulla faccetta superiore del tubercolo maggiore dell’omero.

Nel passaggio all’interno dello spazio subacromiale, il sovraspinato transita superiormente all’articolazione gleno-omerale e alla sua capsula articolare, e inferiormente al legamento coracoacromiale, dal quale è separato tramite la cosiddetta borsa subacromiale, una borsa sinoviale preposta a prevenire attriti e sfregamenti. La rilevanza di questo aspetto anatomico emerge soprattutto in ambito clinico: la posizione sopra descritta espone il tendine d’inserzione del sovraspinato al rischio di sfregamenti e schiacciamenti (impingement) contro il tetto dello spazio subacromiale, tetto che è appunto formato dalla legamento coracoacromiale.

Assieme ai suoi tendini, il complesso muscolare composto dal sovraspinato e dagli altri muscoli della cuffia dei rotatori ha l’importante compito di stabilizzare l’articolazione gleno-omerale, mantenendo centrata la testa dell’omero sulla glena della scapola durante i movimenti del braccio ed evitando in questo modo che le superfici articolari perdano contatto tra loro. A titolo di esempio: durante l’abduzione o l’adduzione del braccio, la testa dell’omero si rende protagonista di movimenti di rotolamento e scivolamento sulla glena della scapola; in tali frangenti, il sovraspinato e gli altri muscoli della cuffia dei rotatori si occupano, tramite la loro contrazione, di evitare un eccessivo rotolamento o scivolamento della testa dell’omero, mantenendo la congruità articolare (testa dell’omero centrata all’interno della glena) ed scongiurando infortuni articolari molto dolorosi.

Il muscolo sovraspinato contribuisce in modo rilevante all’abduzione dell’omero sul piano frontale e partecipa anche all’extrarotazione della spalla. Il sovraspinato è il muscolo della cuffia dei rotatori più soggetto a tendinopatia della cuffia dei rotatori, una delle principali cause di dolore alla spalla, essenzialmente per motivi di carattere anatomico: con i movimenti del braccio, lo spazio subacromiale si riduce e tale riduzione, in alcuni individui, può ripercuotersi sulla salute dell’inserzione del sovraspinato che, come si è visto, vi passa all’interno. Oggi, l’espressione “tendinopatia del sovraspinato” include tutte quelle alterazioni della struttura tendinea che si rifanno a processi degenerativi, talvolta combinati alla formazione di calcificazioni. È doveroso precisare che, nel senso più esteso del termine, “tendinopatia” comprende anche tutti quegli episodi di lacerazione parziale o completa del tendine, un tipo di infortunio grave che spesso rende necessario l’intervento chirurgico.

Uno dei cardini dei programmi riabilitativi attuati in presenza di tendinopatia del sovraspinato sono gli esercizi di rinforzo dei muscoli extrarotatori dell’omero. Questi esercizi servono, di fatto, a stimolare i muscoli della cuffia dei rotatori implicati nel movimento di extrarotazione della spalla e a condizionarne i tendini. I più noti sono quelli eseguiti con un elastico fissato dal lato opposto alla spalla da allenare e il gomito dell’arto che tiene in mano l’elastico flesso a 90°; ma esistono anche quelli eseguiti con manubrio da distesi su un fianco o in posizione prona e quelli con elastico e il braccio in abduzione o flessione. È doveroso precisare che la riabilitazione da una tendinopatia del sovraspinato non si basa esclusivamente sul rinforzo degli extrarotatori della spalla; essa, infatti, comprende anche esercizi di stretching per la capsula articolare, esercizi di rinforzo del muscolo trapezio, esercizi di mobilità toracica ecc. Ecco perché, in presenza di tendinopatia del sovraspinato, è consigliabile sempre rivolgersi a uno specialista.

Cos’è una non conformità?

full credits: Sistemi & Consulenze

Procedura per la gestione delle non conformità

La non conformità è un mancato soddisfacimento di un un requisito applicabile e definito dalle specifiche. La loro gestione è l’azione o la serie di azioni atte a riportare in compliance il requisito. La deviazione può essere inerente ad un processo, prodotto e o requisito.

L’implementazione di una efficace procedura delle non conformità, comprende, anche la definizione delle modalità per l’analisi delle cause profonde della stessa, della correzione tempestiva, e delle azioni correttive o preventive da adottare. Anche le organizzazioni più efficienti nel loro operato giornaliero possono imbattersi in accadimenti, incidenti, deviazioni, dipesi da loro o da cause esterne, che si possono tramutare in una deviazione. La procedura non deve solamente essere utile per la risoluzione delle deviazioni, tramite azioni correttive o azioni preventive. Ma deve essere anche un efficace contenitore di studio per l’analisi delle cause profonde ed evitare il ri-accadimento della medesima.

Azioni preventive azioni correttive e verifica dell’efficacia

Vediamo di definire i vari termini e fasi del processo:

  • Deviazione – scostamento rispetto ai requisiti che ancora non è da considerarsi non conformità;
  • Non conformità – mancato soddisfacimento di un requisito applicabile e definito dalle specifiche. Può essere riferito ad un prodotto, un processo, al sistema, ecc;
  • Correzione – l’azione immediata da parte dell’organizzazione per limitare un possibile pericolo;
  • Analisi delle cause – valutazione delle cause profonde per le quali è scaturito l’accadimento. Da effettuare per poter adottare azioni correttive consone e risolutive a gestione delle non conformità;
  • Azioni correttive – frutto dell’analisi delle cause, necessaria per la risoluzione della deviazione;
  • Azioni preventive – azioni da effettuare per evitare il ri-accadimento della deviazione;
  • Verifica dell’efficacia dell’azione – verifica atta a verificare la coerenza ed efficacia delle azioni correttive e o azioni preventive implementate.

Gestione delle deviazioni: perché è importante?

Non è sufficiente per un’azienda, quindi, avere una corretta gestione e prevenzione dei possibili rischi sui propri processi, prodotti e o servizi erogati. Ogni organizzazione deve essere ‘allenata’ a gestire delle non conformità ed a risponderne al meglio. Le figure di responsabilità nominate devono essere formate alla gestione delle deviazioni. A questo scopo, come richiesto dai requisiti obbligatori e dalle norme e standard per la certificazione aziendale, secondo ovviamente il proprio contesto, deve essere stata implementata nel proprio sistema una modalità di gestione per questo processo. E’ molto importante definire la modalità di valutazione e lo studio delle cause profonde che hanno portato alla deviazione, al fine di potere adottare un’azione immediata di correzione efficaceriportando nel minor tempo possibile lo stato in conformità e definendo le modalità di verifica dell’efficacia dell’azione applicata. Un’organizzazione evoluta definisce anche, all’interno del proprio sistema di gestione, l’applicazione di azioni preventive a deviazione non avvenuta. Per esempio, quando si verifica il superamento di un indicatore su dei limiti e o sugli obiettivi, o i trend di monitoraggio ci evidenziano una continua crescita di una criticità.

Da dove possono provenire delle criticità?

Il primo passo potere gestire questa fase di processo, definito anche miglioramento, è la definizione dell’ambito di appartenenza di una deviazione:

  • Ambito Interno –  la deviazione può essere rilevata durante le verifiche ed le ispezioni interne. Può scaturire per la non soddisfazione dei requisiti applicabili aziendali, comportamenti errati da parte delle risorse umane, scarsa gestione dei monitoraggi e delle misurazioni, delle risorse tecniche, dello stato non soddisfacente di pulizia ed igiene, ecc.  Un intervento repentino potrà anche prevenire l’impatto negativo sul prodotto o servizio, soprattutto nei confronti delle parti interessate esterne. Dopo l’applicazione dell’azione preventiva e o correttiva si dovranno definire le modalità e la tempistica della verifica dell’efficacia dell’azione intrapresa a correzione.
  • Ambito Esterno –  tramite delle segnalazioni, reclami ricevuti dai clienti, od in seguito a verbalizzazioni di organi competenti ed organismi di certificazione. Anche in questo caso l’organizzazione dovrà analizzare la nota di non conformità e definire delle azioni correttive tempestive. In questo caso potrebbe anche essere valutata la necessità di avviare una procedura di ritiro (richiamo) del prodotto.

Che cosa deve contenere la procedura?

I passi che un’organizzazione deve seguire per redigere ed implementare nel proprio sistema una procedura delle non conformità sono i seguenti:

  • definire secondo Contesto aziendale quali siano i limiti oltre i quali un processo, ambiente, bene o servizio sia da considerare come deviazione, ai requisiti legali applicabili, contrattuali applicabili per i prodotti ed i servizi erogati;
  • la definizione delle mansioni per le risorse umane su Chi Fa Cosa-Quando-Come;
  • le vie e le modalità di comunicazione in caso di di scostamento dai requisiti;
  • le responsabilità di intervento in caso in cui la deviazione riscontrata sia un pericolo per la sicurezza, un infortunio, o un requisito ambientale, e che debba essere attivata una procedura di ritiro richiamo, o una comunicazione ad organismi di certificazione o organi ufficiali;
  • la gestione delle risorse nell’emergenza;
  • la competenza di chi effettuerà l’analisi approfondita e definirà l’azione correttiva da intraprendere;
  • la definizione più consona della verifica dell’efficacia sull’azione correttiva applicata;
  • i monitoraggi da effettuare per verificare i trend dei dati ed applicare le azioni preventive quando necessario;
  • l’inserimento del requisito della valutazione per gli audit di verifica;
  • le modalità di analisi per la verifica della procedura per la gestione dei rilievi in sede di riesame della direzione.

Come effettuare la gestione di una deviazione?

Nella procedura delle non conformità dovranno essere evidenziati gli strumenti, da utilizzare in fase di analisi delle cause profonde. Il processo temporale da seguire nella gestione delle deviazioni sarà invece comune:

  1. ricezione di un reclamo, di una deviazione interna e o da parte dell’esterno;
  2. trascrizione sul modulo delle non conformità;
  3. analisi profonda della deviazione e del reclamo ricevuto;
  4. correzione immediata della deviazione;
  5. verificare se si debba eventualmente bloccare un prodotto o considerando non commercializzabile;
  6. comunicazione eventuale agli organi competenti;
  7. azione correttiva da applicare per eliminare la causa che ha portato alla deviazione;
  8. verifica dell’efficacia da effettuare su campo per sincerarsi che l’azione intrapresa sia coerente con la deviazione;
  9. chiusura della non conformità, resoconto costi, danni.

Nella gestione c’è da fare anche un’ulteriore considerazione, ovvero, la deviazione può anche essere identificata come:

  • Di sistema: quando vi è una deviazione nel rispetto dei requisiti definiti dalla o dalle norme di certificazione per i sistemi di gestione o standard implementati, seppur questa sia una criticità che deve essere trattata può non essere impattante sul prodotto e o erogazione sevizio;
  • Sui requisiti obbligatori: quando vi è una deviazione sui requisiti obbligatori, per il rispetto dei criteri sulla salute e sicurezza sul lavoro, sicurezza ed igiene degli alimenti, perdita dei dati, ambiente. Qui l’azienda deve intervenire ancora con più precisione in quanto si innescheranno anche tutta una serie di azioni che possono essere portate avanti anche dagli organi di controllo e possono portare a conseguenze come richiami dei prodotti, sanzioni fino al fermo impianto.

Come classificare le non conformità?

Durante un audit di verifica sia che sia interno, che di certificazione da parte di un organismo terzo, verranno raccolte delle evidenze che possono essere valutate come delle deviazioni, definite come segue:

  • raccomandazione, possibilità di miglioramento, quando il requisito è soddisfatto ma si evidenziano dei possibili miglioramenti atti a prevenire possibile deviazioni future;
  • NC Minore, quando il requisito non è soddisfatto nella totalità e non riguarda aspetti impattanti sui requisiti legali applicabili;
  • NC Maggiore, quando un requisito impattante sui requisiti applicabili non è stato soddisfatto.

In questo caso, ai rilievi delle deviazioni verrà assegnata una richiesta di evidenza di gestione, o risoluzione a seconda della norma o norme implementate nell’azienda. A seconda della norma o standard implementato, ci possono essere anche valutazioni differenti e punti specifici, la quale non soddisfazione potrebbe fare fallire il processo di certificazione. Come la compilazione di action plan a seguito di una verifica per la risoluzione delle deviazioni. L’informazione documentata dovrà tenere conto anche di questi aspetti. La valutazione delle deviazioni, e delle azioni adottate, dovranno, essere inseriti nei criteri da valutare durante gli audit interni.

I dati provenienti dagli accadimenti, azioni preventive ed azioni correttive saranno uno degli input per il riesame della direzione e definizione dei nuovi obiettivi e/o piano di miglioramento, che può comprendere anche la revisione della procedura stessa. Un’organizzazione che si renderà conto di avere deviazioni continue e spesso ripetute dovrà necessariamente prendere in considerazione il riesame della procedura implementata e dei processi di produzione.

un exemple d’industrialisation

full credits: Zeste

Vous l’avez sans doute vu passer, nous venons de sortir notre nouveau bouchon sport! L’occasion parfaite de revenir avec vous sur l’ensemble du processus de design industriel chez nous et de vous dévoiler les coulisses de la création d’un produit (en apparence) si anodin 😅

1/Les prémices : on vous demande votre avis

Chez Zeste, dès que nous commençons à travailler sur un produit nous vous interrogeons. C’est systématique. Dans le cas du bouchon sport, nous avons mis en ligne notre sondage en avril 2021 et vous avez été plus de 200 à répondre en nous indiquant un tas de choses intéressantes, parmi celles-ci: 

  • Que vous préféreriez un bouchon pipette plutôt qu’un bouchon qui s’ouvre avec les dents (on a pas trouvé de meilleur nom que celui-là😅)
  • Que la présence d’un système d’accroche était importante pour vous 
  • Que vous ne vouliez absolument pas de paille à l’intérieur de la bouteille
  • Que le nettoyage devait être facile 

Vos remarques et conseils sous le bras, nous sommes allés voir notre designer partenaire.

2/Le design industriel et prototypage : la phase d’itération

Cette phase de design industriel est cruciale car nous associons généralement notre designer, un partenaire industriel et nous nous faisons la voix de nos futurs clients. Être à trois parties prenantes autour de la table nous permet de bien articuler contraintes industrielles, innovations côté design et demandes utilisateurs. Pour ce nouveau bouchon, une fois vos retours transmis, Marc a commencé à faire des premières esquisses et voici quelques éléments qui ont émergé notamment sur le principe constructif du Bouchon: 

pipette et joints déconstruits bouchon made in france

Puis est arrivée cette oreille facilitant l’ouverture et la fermeture qui nous a tout de suite plu: 

bouchon sport oreille made in france zeste

Les plans de ces formes ont été analysés par notre partenaire industriel situé en Normandie qui nous a indiqué quelques réajustements à faire notamment au niveau des joints et de la pipette et nous nous sommes empressés d’imprimer en 3D quelques prototypes pour VOUS les faire manipuler. Cela nous a permis de nous rendre compte que le produit plaisait, que la languette permettant de relever la pipette était trop courte et que le système de fixation (cordon) était du non négociable. Du coup nous avons réimprimé des prototypes et nous vous les avons soumis: 

prototypage bouchons sport zeste

Pour le cordon nous avons hésité entre différentes versions que Marc a eu l’occasion de modéliser: 

bouchon piercing oreille sport made in france

En parallèle on vous a fait voter pour les couleurs de bouchon préférées 🎨 et voici le résultat de vos votes: 

sondage bouchon sport Zeste

Nous sommes donc partis sur un rose lilas et un jaune curry!

3/La phase finale : industrialisation et qualification

Et la partie industrielle dans tout ça? C’est la même chose, on a réajusté, réajusté, réajusté. Une fois la forme figée il nous a fallu pas mal d’itérations parfois invisibles à l’oeil nu pour garantir une étanchéité parfaite mais aussi un comportement du bouchon jugé satisfaisant:

Itération designs gourde bouchon sport

Ça fait pas mal de tests! 

Nous avons également planché en parallèle sur les tests réglementaires notamment d’alimentarité pour bien garantir la bonne conformité de notre produit. À la suite de cela, nous nous sommes dirigés doucement à partir du printemps 2022 vers les pré-séries permettant de vérifier la répétabilité de la production. C’est-à-dire si sur une série plus conséquente (d’une cinquantaine de pièces par exemple) nous arrivions à faire sortir des bouchons identiques de nos moules industriels situés chez notre partenaire industriel 🏭 dans l’Orne. Une fois cela validé nous avons effectué les derniers tests d’étanchéité pour bien tout sécuriser.

Parler de ce process de création et d’industrialisation, des parties prenantes impliquées, des difficultés rencontrées est extrêmement important pour nous car il nous permet de mettre en perspective la complexité inhérente aux produits que nous utilisons au quotidien. Sur ce produit il nous a fallu plus d’une année pour proposer une alternative Made in France 🇫🇷 aux produits du marché. Valoriser les savoir-faire locaux en proposant des produits responsables, durables et indispensables est ce qui nous guide depuis le début. Avec la lancement de ce nouveau bouchon, nous continuons à oeuvrer dans ce sens avec les moyens limités dont nous disposons.

Une fois de plus nous sommes les seuls à proposer un bouchon sport 100% Made in France et nous en sommes fiers!

case study – Kellify

full credits: Arcangelo Rociola

Cosa faceva esattamente la nostra intelligenza artificiale? Sa, mi vergogno a dirlo, ma non lo so. Chi parla non vuole essere identificato. Ma è uno dei dipendenti di Kellify. Sviluppatore entrato in azienda nel 2021 dopo aver investito nella società 100 mila euro. Un ex dipendente. Perché Kellify, startup fondata a Genova nel 2017 e attiva sulle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, a fine ottobre 2022 ha dichiarato istanza di insolvenza. Troppi debiti. A casa 31 persone. Molte di queste negli anni hanno investito nell’azienda. Convinti, dicono tutti, dal suo fondatore, Francesco Magagnini. Capace di assicurarsi finanziamenti per oltre 4 milioni di euro per sviluppare tecnologie di cui oggi sembrano restare più dubbi che certezze.

Magagnini, secondo i documenti che Italian Tech ha avuto modo di visionare, la scorsa primavera si è dimesso dalla carica di amministratore della società. Poi ha fatto perdere le proprie tracce. Nessun contatto da allora con gli investitori della sua azienda. L’ultima comunicazione è una lettera in cui diceva di stare poco bene. E di essere costretto a fare un passo indietro. Poco dopo l’azienda è fallita. E oggi chi ci ha lavorato, chi ci ha investito, sembra risvegliarsi da un lungo sonno. E accusa: dietro l’azienda c’era altro che marketing e comunicazione. Incolpando in alcuni casi anche la propria miopia.

Chi è Francesco Magagnini, fondatore di Kellify

Genovese, 35 anni, Magagnini negli ultimi 4 è stato un volto piuttosto noto nel panorama delle startup italiane. Tantissime interviste rilasciate, molte ancora reperibili online e su Youtube. Ai giornalisti ha detto negli anni di aver studiato alla Sorbona di Parigi. Di aver conseguito un master a Stanford. Di aver lavorato per multinazionali prima di rientrare a Genova e lanciare la sua startup. Informazioni che non sono verificabili sui siti delle università. Ma a Magagnini, ottimo oratore, si concede un po’ tutto. Anche il curriculum in parola. Italian Tech ha provato a contattarlo diverse volte in queste settimane, senza successo. Vogliono parlare invece i suoi dipendenti. I suoi investitori. Non tutti, ma tutti sotto anonimato. Lo descrivono ancora oggi come come “carismatico”, “magnetico” e “dotato di un’intelligenza superiore”. Doti che gli consentono di convincere tutti.

Anche il Financial Times che, due anni fa, inserisce Kellify tra le migliori startup italiane. Oggi il sospetto di tutti è che dietro le sue parole, dietro la promessa di creare una società in grado di scalare il mercato globale dell’intelligenza artificiale, non ci fosse nulla se non marketing, relazioni con i media e buone referenze. Me lo hanno presentato a Milano, racconta un investitore. Tutti ne parlavano bene. E ci siamo lasciati convincere, anche perché chi ce lo ha presentato è una persona con lunga esperienza nel settore, aggiunge. Anche lui, business angel di diverse startup, preferisce restare anonimo. Abbiamo messo tutti tra tra i 50 e i 200 mila euro. La società lanciava nuovi prodotti. A farli era un fisico, Fabrizio Malfanti, suo socio. Poi ci siamo accorti che qualcosa non andava. I debiti aumentavano. Aumentavano spese per uffici e consulenze. Il giro d’affari no.

I conti di Kellify. I dubbi su consulenze e investimenti

In base ai bilanci che Italian Tech ha potuto leggere, nel 2017 la società ha chiuso con una perdita di 7.040 euro. Nel 2018 le perdite diventano 483.332 euro. Nel 2019 751.712 euro. Nel 2020, ultimo bilancio che Italian Tech ha potuto verificare, le perdite diventano 1,441 milioni, a fronte di ricavi dalle vendite pari a 3.000 euro. Le spese aumentano anno dopo anno. I dipendenti e gli investitori sospettano che tutto ciò che è stato speso sia stato fatto per pagare gli stipendi dei manager (200 mila euro) e le consulenze. La società fa investimenti. Apre spin off. Compra altre società. Inaugura sedi a New York, Malmo, Seul. Nuovi uffici e nuove assunzioni. Annuncia milioni di investimenti. Di poter raggiungere un giro d’affari da 25 milioni entro il 2024. Ogni mossa è accompagnata da un comunicato. Da un’intervista. Intanto i bilanci sono sempre più in rosso.

“Solo marketing e media. Di prodotto c’era pochissimo”

Marketing, faceva molto marketing è la risposta che danno tutti. Alcuni sospettano che facesse “solo” marketing. Riuscito anche bene. Kellify ha vinto premi rivolti alle startup. Il suo amministratore presenza fissa in panel di settore. Ma se si cerca di capire cosa facesse esattamente, cominciano i problemi: Avevamo decine e decine di prodotti. Intelligenza artificiale applicata agli sport, al mercato dell’arte, alle materie prime, al vino, alla pubblicità. Se ne creavano in continuazione. Lavoro in questo settore da molti anni. Conosco la storia di Kellify dall’inizio. All’inizio sono stato investitore. Poi, quando sono diventato dipendente nel 2021, ho capito che di prodotto c’era pochissimo, racconta uno dei primi investitori dell’azienda.

Cosa facesse esattamente Kellify è un mistero. Come lo facesse lo è di più. Una risposta si può cercare nelle interviste di Magagnini ancora reperibili su YouTube. In una descrive in facile eloquio le sue intelligenze artificiali come qualcosa in grado di “percepire il lato emozionale di un’immagine”. Ovvero, ciò che colpisce il fruitore. L’intervistatore chiede un esempio: cosa colpisce la Generazione Z? Vede, l’innovazione data dall’intelligenza artificiale è il non saperlo. Facciamo lavorare gli algoritmi in maniera autonoma. Non sanno se il cavallo o il verde acchiappano di più. Non è qualcosa che riusciamo a sintetizzare in un termine. Agisce a livello neuroscientifico. È un superpotere che diamo in mano alle aziende e ai creativi, risponde. Kellify, nonostante l’enorme copertura mediatica ricevuta, resta un’incognita.

Chi ci ha investito dice che ha tentato di entrare nei radar di alcuni fondi, ma di non aver mai superato la due diligence, la verifica del business offerto fatta dai manager delle società di investimento. In compenso ha raccolto piccole cifre da un gruppo di piccoli e medi investitori. Convinti dalla catena di fiducia che si crea spesso in questo settore. Business angel, family office, ex impiegati di grandi multinazionali che hanno messo nell’azienda la buona uscita e qualche risparmio. Fiducia che oggi molti di loro dicono tradita.

4,7 milioni di investimenti. La promessa di una scalata

L’azienda compare nelle cronache per la prima volta nel 2018. Ottiene 1,73 milioni da diversi investitori. Si presenta all’inizio come una società fintech (tecnologie applicate alla finanza). Dovrebbe essere in grado di capire cosa piace agli utenti, e suggerire il valore futuro di oggetti come macchine e vini pregiati. Secondo Crunchbase, autorevole bussola del mercato delle startup, nei successivi round ne raccoglie altri 3. Credo che quei numeri siano piuttosto gonfiati, conosco tutti quelli che ci hanno messo i soldi, e quanto hanno messo. Dubito che si sia arrivati a quelle cifre, racconta un altro investitore, diventato poi anche dipendente. Fino a una manciata di mesi fa, Magagnini si diceva sicuro del futuro della propria azienda. Pare abbia provato a infondere la sua sicurezza anche ai propri dipendenti. Sorpreso che l’azienda sia fallita? Per niente. Ma mi creda: nessuno di noi lo è. Nessuno di noi ha mai capito quello che stavamo facendo. E tra i dipendenti certe cose si sanno. Magari non si dicono, ma si sanno, commenta un altro dipendente.

Carte in Tribunale. “Ci abbiamo creduto. Poi abbiamo dovuto crederci”

All’inizio ci abbiamo creduto. Eravamo convinti. Poi le cose sono cambiate. Soprattutto dopo qualche mese di lavoro in azienda. Dal crederci davvero, abbiamo cominciato a crederci per forza. Da Kellify dipendevano non solo i nostri stipendi, il sostentamento delle nostre famiglie, ma anche i nostri progetti di vita, i sacrifici degli anni precedenti. Come convincersi della realtà di un’illusione. Entrare in un mondo di finzione, senza nessuna pillola blu per risvegliarsi. Ora le carte sono finite in tribunale. Il sito è stato messo offline. I canali social di Kellify oscurati. Nessun riferimento su LinkedIn. A parte interviste e video, è tutto sparito. Restano le carte. I bilanci. Le acquisizioni e le consulenze. Materiale su cui i giudici liguri cominceranno a lavorare il prossimo mese. Che chiariranno se i dubbi degli investitori sono fondati, o sono frutto di una tardiva voglia di vendetta.

Twitter: @arcamasilum

Un albero artificiale 1000 volte più efficiente di quelli veri

fonte: Corriere.it

Per la quasi totalità dei climatologi, l’alta concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre è la causa del riscaldamento globale e quindi dei cambiamenti climatici che stiamo sperimentando. Dunque, per contenere l’aumento di temperatura entro i limiti indicati dall’IPCC, è necessario ridurre drasticamente la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera. Tuttavia, vista la velocità con cui sta aumentando la temperatura media del pianeta, questa soluzione da sola non sembra più sufficiente e se vogliamo sperare di raggiungere gli obiettivi occorre fare di più. Bisogna accelerare, togliendo dall’atmosfera parte dell’anidride carbonica già presente. Per riuscire in questa impresa, alla società irlandese Carbon Collect Ltd. si sono ispirati alla natura, precisamente agli alberi e alla loro capacità di assorbire anidride carbonica dall’aria tramite le foglie. Così hanno sviluppato un dispositivo chiamato MechanicalTree che si propone di diventare una tecnologia di punta per ridurre l’anidride carbonica in atmosfera. Questo “albero” artificiale è una struttura metallica alta circa 10 metri e contiene speciali “piastrelle” in grado di assorbire la CO2, che si estendono e si ritraggono in un ciclo costante di cattura e rigenerazione.

Il primo vantaggio del sistema consiste nel fatto che le future “fattorie” di questi alberi artificiali, per essere efficaci, non hanno bisogno di sorgere in corrispondenza o vicino alle fonti di emissione di CO2 come, ad esempio, una fabbrica o una centrale a carbone. Rispetto a un vero albero naturale, poi, MechanicalTree è fino a mille volte più efficiente nel rimuovere la CO2 dall’aria e la Carbon Collect ha già pianificato di iniziare con installazioni in grado di raccogliere fino a 1000 tonnellate al giorno di CO2. Ma soprattutto, al contrario di altre tecnologie simili, questa non necessita di pompe o sistemi di aspirazione elettrici costosi e a loro volta inquinanti. MechanicalTree, infatti, usa semplicemente il vento per far passare l’aria attraverso il sistema che, in questo modo, diventa una soluzione passiva caratterizzata da bassi costi di esercizio e quindi economicamente praticabile. Ma i vantaggi non finiscono qui perché l’anidride carbonica catturata dal sistema non solo contribuisce a combattere il riscaldamento globale, ma diventa essa stessa una risorsa che può essere venduta e riutilizzata in svariati settori come l’industria alimentare, delle bevande, l’agricoltura o l’energia.

Alla base della tecnologia di MechanicalTree c’è l’intuizione del professore d’ingegneria dell’Arizona State University Klaus Lackner che, nel 1999, fu tra i primi scienziati al mondo a suggerire che è possibile contrastare il riscaldamento globale catturando la CO2 dall’aria. Lackner era convinto che per affrontare il problema fosse necessario immaginare strategie ambiziose e la rimozione della CO2 dall’aria era appunto una di queste. Non a caso egli sosteneva che il suo obiettivo era «prendere un processo che richiede 100.000 anni e comprimerlo in 30 minuti». Per arrivare a questo risultato, però, ci sono voluti ben vent’anni di studi e due di progettazione. L’idea da cui tutto è partito, però, non è stata del professor Lackner ma di sua figlia Claire che doveva partecipare a un concorso di scienze di scuola media. Claire riuscì a dimostrare che si poteva catturare l’anidride carbonica dall’aria facendola reagire con l’idrossido di sodio, semplicemente usando una pompa per acquario. Padre e figlia scoprirono che con quel rudimentale dispositivo si riusciva a catturare addirittura metà dell’anidride carbonica che attraversava una provetta. Questa dimostrazione fruttò a Claire il primo premio al concorso scolastico e spinse il padre a iniziare una ricerca che ha portato a un dispositivo potenzialmente in grado di rivoluzionare il modo in cui affrontiamo la lotta ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale.

il labbro acetabolare dell’anca

fonte: Ortopedia Borgotaro

Il labbro acetabolare è un anello fatto di fibro-cartilagine (un tessuto simile a quello del menisco del ginocchio) intorno alla coppa dell’anca (acetabolo), quella tasca nella quale si inserisce la testa del femore. Questa struttura è molto importante per la normale funzione dell’articolazione dell’anca. Essa aiuta a mantenere la testa del femore (l’osso della coscia) all’interno dell’acetabolo la coppa del bacino (dove la testa del femore si inserisce e si muove). Il labbro acetabolare funziona come una guarnizione fornendo stabilità all’articolazione dell’anca.

Il labbro acetabolare ha due lati: un lato è a contatto con la testa del femore, l’altro lato tocca e prende connessioni con la capsula articolare. La capsula è costituita da forti legamenti che circondano l’anca e aiutano a tenerla in posizione pur consentendole di muoversi in molte direzioni. Il lato extra-articolare del labbro (quello a contatto con la capsula articolare) ha un buon apporto di sangue, ma la zona intra-articolare (a contatto con la testa del femore) è in gran parte avascolare (senza sangue). Questo significa che qualsiasi danno al lato extra-articolare ha più probabilità di guarire mentre il lato intra-articolare (con un molto scarso apporto di sangue) non guarisce bene a seguito di lesioni o di riparazioni chirurgiche.

Il labbro aiuta a sigillare l’articolazione dell’anca, mantenendo così la pressione del fluido all’interno dell’articolazione e fornendo la nutrizione alla cartilagine articolare. Senza un sigillo intatto, aumenta il rischio di artrosi degenerativa precoce. Un labbro danneggiato può anche provocare uno spostamento del centro di rotazione dell’anca. Un cambiamento di questo tipo aumenta l’impatto e il carico sull’articolazione. Senza la protezione di questa guarnizione o con una testa femorale fuori centro, il movimento ripetitivo dell’anca può creare piccole lesioni al labbro e alla articolazione dell’anca. Nel corso del tempo, queste piccole lesioni possono portare ad usura dell’articolazione dell’anca (artrosi).

Un tempo si credeva che un singolo trauma (come ad esempio durante una corsa, lo sport, una torsione, una caduta) era la ragione principale di una lesione del labbro acetabolare. Nel tempo, con migliori studi di imaging e con la comprensione derivata dall’artroscopia, è emerso che la forma anomala dell’acetabolo e/o della testa del femore (il Conflitto Femoro-Acetabolare) erano una delle cause più frequenti del problema. Sebbene l’infortunio rimanga una delle principali cause di lesioni labrali, quasi sempre una lesione del labbro acetabolare avviene quando esistono delle cause predisponenti. I cambiamenti anatomici che contribuiscono alle lesioni labrali combinati con piccole lesioni ripetitive portano ad una graduale insorgenza del problema. Attività sportive che richiedono movimenti oscillanti ripetitivi (come ad esempio il gioco del golf) o la ripetuta flessione dell’anca possono provocare questo tipo di piccole lesioni.

La lesione più comune è chiamata Conflitto Femorale Acetabolare (o FAI – Femoro Acetabular Impingement): quando una gamba flette e ruota internamente e si muove verso il corpo, l’osso del collo femorale (soprattutto se strutturato in modo anomalo) urta contro il bordo acetabolare pizzicando il labbro tra il collo femorale stesso ed il bordo acetabolare. Nel tempo, questo pizzicare del labbro provoca usura e lacerazione dei suoi bordi. Una rottura completa viene indicata come avulsione in cui il labbro è separato dal bordo dell’acetabolo dove si attacca normalmente. Cambiamenti nel normale movimento dell’anca combinati con debolezza muscolare attorno all’anca possono portare alle lesioni del labbro acetabolare. Altre cause includono lassità capsulare (legamenti lassi), displasia dell’anca (alterazioni anatomiche dalla nascita), lesioni da trazione e alterazioni degenerative (artrosi) associati con l’invecchiamento. Chiunque abbia avuto una malattia dell’anca dell’infanzia (quali la malattia di Legg-Calvè-Perthes, la displasia dell’anca, l’epifisiolisi) ha un rischio aumentato di lesioni labrali.

Il principale sintomo dovuto ad una lesione del labbro acetabolare è dolore nella parte anteriore dell’anca (più spesso nella zona inguinale), accompagnato da una sensazione tipo clic, o da una specie di blocco dell’anca. Sintomi comuni sono anche rigidità articolare e una sensazione di instabilità in cui l’anca e la gamba sembrano cedere. Il dolore può irradiare lungo i glutei, lungo il lato esterno dell’anca, o anche fino al ginocchio. I sintomi peggiorano con lunghe camminate, o quando si sta seduti. Facendo perno sull’anca malata si può avvertire dolore. Alcuni pazienti zoppicano o hanno un segno di Trendelenburg positivo (l’anca scende sul lato destro se si sta in piedi solo sulla gamba sinistra e viceversa). Il dolore può essere costante e sufficiente a limitare tutte le attività ricreative e sportive.

La storia e l’esame fisico sono i primi strumenti che il medico usa per diagnosticare una lesione del labbro acetabolare dell’anca. Una storia di trauma nota legata al dolore all’anca può esserci come no. Quando ci sono cause anatomiche e strutturali o squilibri muscolari che contribuiscono allo sviluppo delle lesioni labrali, i sintomi possono svilupparsi gradualmente nel tempo. Il medico eseguirà alcuni test; quello più comune è il segno dell’impingement, che viene effettuato piegando l’anca a 90 gradi (flessione), ruotando l’anca verso l’interno (rotazione interna) e portando la coscia verso l’altra anca (adduzione). Fare la diagnosi non è sempre facile ed il medico deve poter contare su ulteriori test per individuare la causa esatta del dolore (raggi X, Artro risonanza magnetica nucleare). A seconda dei casi, il trattamento può essere conservativo (fisioterapia) oppure chirurgico (artroscopia).

Tienes un perfil multipotencial ?

fuente: WelcomeToTheJungle.com

Opuestos a los perfiles de especialistas que se sienten realizados siguiendo una carrera lineal, los multipotenciales son “los demás”. Aquellos que no encajan en ninguna categoría o que podrían encajar en todas. Un poco comerciales, un poco RR. HH., un poco community managers… e incluso un poco profesores de yoga en su tiempo libre. Se trata de personas generalistas. Sin embargo, puesto que el sistema tradicional se basa principalmente en el modelo de carreras especializadas, a estos perfiles no se les reconoce todavía su justo valor. Hay ocho señales que te permitirán saber si tu perfil encaja con el de esas personas.

1. Aprender, descubrir… tu curiosidad no tiene fin. Cuando eras más joven, ¿pasabas de una afición a otra (o te apetecía hacerlo), como el tenis, la natación, la guitarra, el dibujo, etc., hasta que se agotaba tu interés y te interesabas por otra cosa? Este es un clásico de la personalidad multipotencial. Si tú lo eres, seguramente no tienes ni vocación ni predilecciones. Lo que te estimula es, sobre todo, seguir fiel a tu compañera: la curiosidad. Y es probable que esta se haya manifestado en una etapa muy temprana de tu vida, en la infancia, bajo forma de ganas de descubrir, aprender y experimentar muchísimas cosas distintas. Las personas multipotencial son, en cierto modo, los Indiana Jones del mundo laboral. Por lo tanto, si te gusta explorar nuevos horizontes, puede que seas multipotencial.

2. Elegir un camino significa renunciar a otros. Viajemos en el tiempo, a cuando estabas en bachillerato. Más concretamente, el momento de elegir un itinerario. Aunque esto puede ser un simple formalismo para algunas personas, para los multipotenciales convertirse en un auténtico rompecabezas, ya que, para ellos, escoger una única vía implica renunciar al resto. ¿Cómo elegir un camino cuando hay tantas cosas que te interesan? Y, después de todo, ¿por qué elegir? La sociedad nos ha condicionado para seguir un modelo lineal de carrera basado en la especialización. En resumidas cuentas, elegir un itinerario, especializarse, obtener un primer empleo y desarrollar una carrera en ese ámbito durante los próximos 40 años. Es el patrón clásico. Así pues, puede que hayas intentado entrar en ese molde y te hayas encerrado en un sector o en una profesión. ¿El resultado no ha sido del todo positivo? Supongo que, desde fuera, te muestras realizado y te tranquilizas a ti mismo diciéndote que tienes un empleo, un salario y un estatus social cómodos (¡lo cual no es poco!). Pero por dentro, ¿sigues oyendo esa voz que te repite que te estás ahogando en esa casilla y que es hora de emprender nuevas aventuras profesionales? En ese caso, es muy probable que seas un multipotencial sin saberlo.

3. ¡Me sigo aburriendo! Para las personas multipotenciales, el aburrimiento no se limita a los conocidos como bullshit jobs. Cuando empiezas en un nuevo trabajo, ¿te parece todo siempre idílico pero terminas rápidamente desencantado? Nuevos objetivos, nuevos proyectos, nuevo entorno, nuevos compañeros, nuevos temas, etc. ¿Empezar un trabajo es siempre un momento emocionante para ti, hasta que el aburrimiento, tu “eterno” compañero de viaje, llega para quedarse? Por lo general, se manifiesta cada dos o tres años. Comienza con pensamientos recurrentes del tipo “¿Pero para qué sirve esta reunión?”, “De todas formas, ya no aprendo nada nuevo” o “Ahora que la empresa funciona sola, ¿qué voy a hacer?”. Poco a poco, esos pensamientos dan lugar a un desánimo crónico que te resta las fuerzas para levantarte por las mañanas o hace que cuentes los días que quedan para poder desconectar el fin de semana. A largo plazo, pierdes toda motivación y crees que tu trabajo ya no tiene sentido. Y si la situación perdura, terminas incluso por dudar de tu valor, al tiempo que mengua tu confianza.

4. La gente cree que nunca estoy satisfecho con nada. En la mente de la mayor parte de trabajadores, escoger un sector y desarrollar una carrera es una señal de estabilidad y seguridad. Por lo tanto, cambiar de empleo varias veces puede dar lugar a comentarios incluso desagradables. Las personas multipotenciales que asumen que lo son saben muy bien lo siguiente: cambiar de empleo siempre conlleva un comentario cargado de juicio por parte del entorno. ¿Tienes la impresión de que la gente piensa que nunca estás satisfecho con nada? O peor aún, ¿de ser el alma errante de tu familia o grupo de amigos? Asimismo, si tienes una trayectoria profesional variada, seguro que en las entrevistas de trabajo has tenido que escuchar la clásica frase (de forma más o menos explícita) “Has cambiado de empleo a menudo, ¿quién me dice que no nos vas a dejar en un año?”. Pero tal vez sea puro azar.

5. Quiero una vida con varias vidas. Ante la pregunta “¿Si tuvieras cinco vidas, en qué te gustaría trabajar?”, ¿responderías que no querrías tener cinco empleos en cinco vidas, sino cinco empleos en una sola vida? ¿No sueñas con el Santo Grial que representa el contrato indefinido sino que más bien lo percibes como una “cárcel” de oro? Las personas que te inspiran se han reinventado muchísimas veces y han explorado mil y un ámbitos, como ese chico que, con apenas 40 años, ya ha tenido una gran vida profesional, habiendo sido abogado, escritor y finalmente empresario del sector de la restauración.

6. Me gusta tocar varios palos. En el mundo laboral, hace falta de todo. Hay personas que prefieren especializarse y ocupar un puesto en un ámbito determinado. ¿Este no es tu caso? Un poco de derecho, una pizca de marketing, una cucharadita de formación, todo ello espolvoreado con un poco de management de equipo. ¿Podría ser esta la “receta” del empleo de tus sueños? Puede que no seas un experto, pero ¿qué más da? En ese caso, lo que seguramente te atrae son los empleos polivalentes o generalistas que te permitan hacer de todo y desarrollar tareas transversales. Tener un empleo con una rutina en el que los días sean todos iguales es algo que, para las personas multipotenciales, provoca un “Gracias, pero no”.

7. ¿Quieres ideas? ¡Toma ideas! Si despiertas envidia, ¿es normalmente porque tienes muchas ideas? ¿El proceso de generar ideas te parece natural porque tu curiosidad y tu espíritu de explorador te han conducido a llevar la reflexión siempre un paso más allá, comprender tu entorno, profundizar tus conocimientos y experimentar cosas nuevas? De hecho, te sueles plantear preguntas que comienzan por un “por qué” en tu día a día y consigues conectar dos ideas o temas para dar con soluciones innovadoras. Esta manera de razonar muestra que empleas un modo de pensamiento “divergente”. ¿No te suena el término? Las nociones de pensamiento divergente y convergente las planteó el psicólogo J.P. Guilford en la década de los 50 del siglo pasado. Nuestro sistema educativo da prioridad principalmente al pensamiento convergente, que consiste en aplicar reglas y procesos estructurados para lograr una solución. Dicho de otra manera, el profesor expone un problema y nos da las reglas para llegar a una única solución. Por el contrario, el pensamiento divergente relaciona dos temas que no están vinculados entre ellos y, gracias a las conexiones cerebrales, se produce la magia. Al razonar por analogía, salimos del sendero marcado para buscar la inspiración y la solución fuera, en otro ámbito. A menudo, es así como surgen las ideas innovadoras originales.

8. Sí al cambio. ¿Tu empresa desea cambiar de rumbo estratégico o tu empleo cambia, por lo que vas a tener que formarte y adquirir nuevas habilidades, y todo eso no te da miedo? Al cambiar con regularidad de empresa, sector o empleo, ¿has desarrollado una flexibilidad que resiste a todo? O si todavía no has dado el gran salto, quizás tu vida privada sea un magnífico tablero de juego, puesto que tienes varias aficiones y cambias constantemente, con lo cual has desarrollado una gran capacidad de adaptación. En aquellas situaciones en que la mayoría de personas se muestran reticentes a modificar sus hábitos, ¿eres tú el camaleón del mundo laboral que se adapta a cualquier cambio, ya sea organizativo, técnico o de entorno? ¡Esta es otra de las principales características de las personas multipotencial.

¿Y bien? ¿Te has sentido identificado? De ser así, ten en cuenta que, aunque la especialización sigue siendo la norma, la tendencia está cambiando. Las empresas se enfrentan a desafíos externos (sociales, medioambientales, etc.) e internos (progreso técnico y tecnológico, motivación y gestión del talento, etc.) que les exigen replantearse constantemente su organización, sus prácticas, su estrategia y sus formas de trabajar. Y para ello, necesitan empleados innovadores, ágiles y dispuestos a adquirir nuevas habilidades con frecuencia. En resumen, ¡todo lo que te caracteriza como multipotencial!

full credits: Sonia Valente