Artroscopia del ginocchio & instabilità rotulea

fonti: uno, due e tre

L’artroscopia del ginocchio è una tecnica chirurgica minimamente invasiva, che permette la diagnosi e la cura di numerose problematiche del ginocchio. La sua esecuzione prevede la pratica di piccolissime incisioni cutanee a livello del ginocchio e l’impiego dell’artroscopio, uno strumento a forma di cannuccia e dotato di una telecamera e una fonte luminosa. Con un unico strumento è possibile sia effettuare la diagnosi che operare al tempo stesso, con un notevole risparmio di tempo. Le procedure di artroscopia del ginocchio impongono una certa preparazione, la quale tuttavia è molto semplice da attuare. Nell’artroscopia del ginocchio, fase post-operatoria, tempi di guarigione e ritorno alle attività quotidiane variano in base ai motivi di attuazione della tecnica chirurgica in questione.

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L’artroscopio presenta, a un’estremità, una rete di fibre ottiche con la doppia funzione di telecamera e sorgente luminosa, e, quasi all’altra estremità, un cavo per l’accensione della rete a fibre ottiche e per il collegamento della suddetta telecamera a un monitor. Durante gli interventi in artroscopia del ginocchio, l’artroscopio è lo strumento che il medico operante introduce, dalla parte della telecamera e della sorgente luminosa, all’interno dell’articolazione del ginocchio e che utilizza, successivamente, come macchina da presa esplorativa capace di trasmettere quanto filmato nel monitor collegato.
Grazie alla sua forma a cannuccia, l’artroscopio è un apparecchio estremamente maneggevole e capace di incunearsi in ogni angolo dell’articolazione; inoltre, sempre grazie alla sua forma assottigliata, la sua introduzione all’interno del corpo umano non richiede l’esecuzione di una grande incisione, ma solo di una piccola apertura cutanea non superiore al centimetro.

Si posiziona l’artroscopio nell’articolazione del ginocchio, dove è possibile visualizzare i menischi, le cartilagini e i legamenti crociati (artroscopia diagnostica). Se è presente una patologia a carico di queste strutture è possibile passare alla fase chirurgica vera e propria con possibilità di effettuare meniscectomie (asportazione di frammenti meniscali), e regolarizzazione (nei limiti del possibile) delle lesioni cartilaginee; è possibile sotto guida artroscopica effettuare ricostruzioni legamentose dei legamenti crociati.

INSTABILITÀ ROTULEA

L’instabilità rotulea è una patologia che nasce dalla incongruenza articolare nello scorrimento della rotula sulla doccia femorale (troclea) e si codifica in rapporto al grado/gravità, dall’iperpressione rotulea esterna alla lussazione rotulea con il grado intermedio della sublussazione rotulea.

I sintomi variano in rapporto alla gravità. Nei casi più lievi, il sintomo più frequente è il dolore anteriore al ginocchio e dolore che compare mantenendo a lungo una posizione a ginocchio flesso. Nei casi di maggiore gravità, il paziente lamenta “cedimenti” o instabilità del ginocchio, non riesce a praticare adeguatamente sport in carico e può riferire anche la “fuoriuscita” della rotula, incompleta (sublussazione) o completa (lussazione).

L’approfondito esame clinico specialistico è fondamentale per inquadrare correttamente la patologia e deve valutare non solo la condizione del ginocchio, ma di tutto l’arto inferiore (analisi dell’asse biomeccanico e della rotazione del femore, condizione muscolare etc.) e si integra all’acquisizione di specifici esami strumentali quali RX assiali con proiezione rotulea, RMN e TC con scansioni specifiche/protocollo lionese. È importante valutare in modo accurato la patologia monitorando anche la condizione cartilaginea dell’articolazione femoro-rotulea in quanto l’incongruenza od instabilità può produrre in varia misura una usura accelerata della cartilagine.

Il trattamento conservativo (comprensivo di potenziamento e riequilibrio muscolare) porta a risultati positivi anche nei casi di minore gravità, si integra all’utilizzo di terapia fisica nelle fasi acute e si associa anche all’utilizzo di specifiche ginocchiere, che possono portare ad un oggettivo miglioramento della congruenza rotulea e può premettere di praticare attività sportiva. Il “banco di prova” del recupero funzionale è nello sportivo è la completa ripresa dell’attività in assenza di limitazioni funzionali. In alternativa, il trattamento artroscopico varia in rapporto alla gravità e condizione della patologia.

all’IIT si stampano cartilagini!

da quest’articolo de La Repubblica dell’11/10/15

L’intuizione del genovese Luca Coluccino: togliere la “memoria” al tessuto e riprodurlo

L’idea gli è venuta a Pittsburgh — la città della Pennsylvania famosa per Flashdance e le antiche industrie dell’acciaio — ma continuerà a svilupparla sulla collina di Morego, a Genova, nell’Istituto Italiano di Tecnologia. Luca Coluccino ha 28 anni, una laurea in ingegneria biomedica e una passione per le articolazioni delle ginocchia. Lo si capisce dalla tesi di laurea e dal suo dottorato di ricerca al’IIT, dove dal 2013 studia come ricostruire e riparare le cartilagini.

084139429-51f017df-9dea-4c3a-95e2-cc1e89146d41Lo scorso anno, durante un periodo all’Università di Pittsburgh, Luca ha azzardato: “Ma perché invece di fare protesi sintetiche non proviamo a creare una cartilagine vera? Una cartilagine senza parti artificiali. Biologica, umana. E poi usiamo questo tessuto senza forma come “inchiostro” per una stampante in 3D“. Era un’idea un po’ folle: creare la cartilagine è l’ambizione dei gruppi di ricerca più avanzati del mondo, dalla Corea del Sud agli Stati Uniti. Ci provano da anni, senza successo. Ma Luca e il team con cui lavora — il gruppo Smart Materials del Dipartimento di Nanofisica dell’IIT — ci sono riusciti. E a metà settembre hanno spiegato come fare al TERMIS di Boston, la conferenza mondiale di riferimento per la medicina rigenerativa.

Luca arriva all’IIT con un maggiolone anni ’70, la giacca stilosa e una barbetta bionda accennata. A parlar di cartilagini gli si illuminano gli occhi. “Sono affascinanti perché non si ricreano come le ossa — spiega — Se un adulto ha una lesione grave a una cartilagine bisogna sostituirla con protesi metalliche o plastiche. Ma sono parti estranee al corpo umano: causano problemi di rigetto e non durano all’infinito“. Tra qualche anno potrebbe non essere più così, perché il team dell’IIT in collaborazione con l’Università di Pittsburgh (dove Coluccino era sotto la guida di un altro genovese, il ricercatore Riccardo Gottardi) ha trovato la “ricetta” per ricostruire cartilagini, tendini e menischi. Ad ascoltare Luca Coluccino sembra semplice: si tratta chimicamente una cartilagine, per esempio, sino a farla diventare un liquido che ha perso tutte le informazioni che nel corpo di un’altra persona potrebbero dare reazione immunitaria. “Solo una cosa le deve rimanere: la ‘memoria’ di essere una cartilagine“, avverte Coluccino.